Dialetti toscani: differenze tra le versioni

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* [http://serverdbt.ilc.cnr.it/altweb/inizio_interrogazione.htm Atlante lessicale toscano (ALT)]; si veda anche [http://dialectometry.com/toscana Dialectometria]
* [http://serverdbt.ilc.cnr.it/altweb/inizio_interrogazione.htm Atlante lessicale toscano (ALT)]; si veda anche [http://dialectometry.com/toscana Dialectometria]
* {{cita web|http://dmoz.org/World/Italiano/Scienza/Scienze_Sociali/Linguaggi_e_Linguistica/Lingue_Naturali/Indoeuropee/Italiche/Romanze/Italiano/Dialetti/Toscani/|La pagina dedicata ai dialetti toscani dalla Directory DMOZ}}
* {{cita web|http://dmoz.org/World/Italiano/Scienza/Scienze_Sociali/Linguaggi_e_Linguistica/Lingue_Naturali/Indoeuropee/Italiche/Romanze/Italiano/Dialetti/Toscani/|La pagina dedicata ai dialetti toscani dalla Directory DMOZ}}
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* {{cita web|autore=Laboratorio di Linguistica, Facoltà di Lettere dell'Università di Pisa|url=http://dante.di.unipi.it/ricerca/testi-interreg.html|titolo=Elenco dei testi di Livorno, Capraia, Corsica|accesso=26 settembre 2009}}
* {{cita web|autore=Laboratorio di Linguistica, Facoltà di Lettere dell'Università di Pisa|url=http://dante.di.unipi.it/ricerca/testi-interreg.html|titolo=Elenco dei testi di Livorno, Capraia, Corsica|accesso=26 settembre 2009}}
* {{cita web|autore=Laboratorio di Linguistica, Facoltà di Lettere dell'Università di Pisa|url=http://dante.di.unipi.it/ricerca/ColPISA1.html|titolo=Testi di Pisa|accesso=26 settembre 2009}}
* {{cita web|autore=Laboratorio di Linguistica, Facoltà di Lettere dell'Università di Pisa|url=http://dante.di.unipi.it/ricerca/ColPISA1.html|titolo=Testi di Pisa|accesso=26 settembre 2009}}

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Dialetto toscano
Parlato inBandiera dell'Italia Italia
Bandiera della Francia Francia
Regioni  Toscana
(esclusa la Provincia di Massa-Carrara e parte della Romagna toscana)
Bandiera della Corsica Corsica
(come variante)
Bandiera della Sardegna Sardegna
(gallurese e sassarese)
  Umbria
(zona occidentale confinante con la Toscana)
Locutori
Totalecirca 3.000.000
ClassificaNon nei primi 100
Tassonomia
FilogenesiIndoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italo-occidentali
    Romanze occidentali
     Dialetto toscano
Statuto ufficiale
Ufficiale in-
Regolato danessuna regolazione ufficiale
Codici di classificazione
ISO 639-2-
Linguist Listita-tus (EN)
Linguasphere51-AAA-qa
Estratto in lingua
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1
Tutti gli òmini e nascano liberi e uguali in dignità e diritti. Essi gl'enno dotati di ragione, di 'oscienza e deano agi' gli uni verso gl'attri in spirito di fratellanza (vernacolo fiorentino)
Mappa linguistica d'Italia

Con dialetto toscano[1] s'intende una serie di parlari romanzi parlati nell'area d'Italia corrispondente oggigiorno alla regione Toscana, con l'esclusione della provincia di Massa e Carrara e dell'Alta Garfagnana, dove si parlano dialetti settentrionali gallo-italici, e dell'Alto Mugello detto anche Romagna Toscana.

Caratteristica principale di questi idiomi è quella di essere sostanzialmente parlati. Questo fatto garantisce una chiara distinzione dall'italiano, che da sempre (e soprattutto fino al 1860) è stata una lingua quasi esclusivamente scritta, letteraria, aristocratica, parlata dalle élite scolarizzate. Il toscano quindi è un sistema linguistico allo stesso tempo innovativo (grazie all'uso vivo), ma anche conservativo, arcaizzante, grazie al suo (ancora oggi forte) legame con le aree più rurali della regione.

Popolarmente il toscano non veniva considerato un dialetto italiano data la grande somiglianza con l'italiano colto di cui, peraltro, è la fonte (sia pure modificatasi nel tempo rispetto al toscano del Trecento), ma veniva considerato invece una semplice variante o "vernacolo" dell'italiano; nella letteratura linguistica si è comunque sempre parlato di dialetto toscano anche se oggi si preferisce considerare i parlari toscani un insieme di dialetti romanzi parlati in Italia, al pari di tutti gli altri, piuttosto che un dialetto della lingua italiana.

I primi contributi letterari significativi in toscano risalgono al XIII-XIV secolo con le opere di Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, e successivamente nel XVI secolo con Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, che conferirono ai parlari toscani la dignità di "lingua letteraria" della penisola.

Al momento dell'unificazione dell'Italia fu scelto come lingua da adoperare ufficialmente, mettendo fine a una secolare discussione, a cui aveva partecipato anche Dante (nel De vulgari eloquentia), che vedeva due fazioni contrapposte, una che sosteneva la nascita di una lingua italiana sulla base di un dialetto e un'altra che si proponeva di creare una nuova lingua che prendesse il meglio dai vari dialetti. Prese piede agli inizi del XIX secolo proprio la prima corrente, soprattutto grazie al prestigioso parere di Alessandro Manzoni (molto nota è la vicenda relativa alla scelta della lingua per la stesura de I promessi sposi e i panni sciacquati in Arno), ma non poche furono le critiche mossegli da chi sosteneva (in primo luogo il glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli) che il toscano era un dialetto come gli altri e una vera lingua nazionale sarebbe potuta nascere solo dopo l'incontro tra le varie culture del paese.

Locutori

Il numero di locutori che parlano oggi dialetti di tipo toscano si aggira intorno ai 3.000.000 di persone, contando gli abitanti della Regione, escludendo il territorio della provincia di Massa e Carrara in cui vengono parlati i dialetti apuano-lunigianesi dialetti della famiglia gallo-italica. Forse, più per esclusione detti dialetti sono attribuiti alla emiliana, sebbene con forte peculiarità e un sostrato ligure, e includendo invece l'area della Corsica settentrionale dove viene parlato il dialetto cismontano e l'area dell'Umbria confinante con la Toscana dove viene parlato il chianino.

Virtualmente, i milioni di persone che parlano italiano sono in grado di parlare toscano, proprio perché il fiorentino è il sostrato dell'italiano standard contemporaneo, indipendentemente dal fatto che le caratteristiche fonetiche superficiali degli accenti toscani appaiano troppo "peculiari" rispetto alla pronuncia italiana neutra, spesso tanto ai profani quanto ai glottologi.

Caratteristiche dei dialetti

I dialetti toscani presentano caratteristiche uniformi sebbene esistano alcune discrepanze che danno vita a varianti locali.

Fonetica

Gorgia toscana

Lo stesso argomento in dettaglio: Gorgia toscana.

Il termine gorgia indica il passaggio delle consonanti occlusive sorde /k/, /t/ e /p/ a fricative in posizione post-vocalica [h], [θ], [ɸ]. Un esempio tipico è l'articolazione della /k/ come [h] in posizione intervocalica [la ˈhaːsa], per la "casa".

La gorgia trova il suo culmine a Firenze (dove è molto più marcata che in qualunque altro comune, soprattutto a nord della città e del comune, mentre a sud si affievolisce leggermente) a Prato e Siena, mentre tende a indebolirsi sia andando verso occidente sia verso oriente fino a diventare fenomeno saltuario nell'aretino e nella zona Val di Chiana-Cortona (dove inoltre si risente dell'influenza umbra); persiste invece, ma limitandosi alla sola /k/, a Pistoia, nella Maremma (Cecina-Orbetello) e nelle Colline Metallifere (Volterra-Massa Marittima) e scompare nell'area pisana-lucchese-livornese, in cui si ha l'elisione della consonante /k/ in posizione intervocalica ([la 'kasa] a Siena, Firenze, Pistoia, Prato e Grosseto sarà [la 'hasa] mentre a Livorno e Pisa sarà [la 'asa].

La gorgia è un fenomeno fonetico, cioè di semplice accento regionale. Non è un fatto fonologico, perché non coinvolge i suoni a livello di sistema: il fiorentino non ha meno consonanti dell'italiano neutro (anzi, ha esattamente gli stessi fonemi dell'italiano). Talora, in grafia dialettale, viene scritto un apostrofo come per indicare che sia caduta la /k/ in casi in cui viene invece pronunciata una [h]: tale grafia "popolare" è però fuorviante, poiché il fonema /k/ non "scompare" mai in fiorentino. Nei casi delle altre consonanti affette dalla gorgia, /t/[θ] e /p/[ɸ], è sconsigliabile tentare di rappresentarne la pronuncia, se non in IPA. In grafia dialettale, si dovrà scrivere semplicemente "capitani" per [kaɸiˈθaːni].

Scomparsa di "T" intervocalica

Nell'area pratese si ha la scomparsa di "T" intervocalica, pertanto "Prato" si dice "Pra'o" e "dito" diviene "di'o".

Scomparsa di "V" intervocalica

"Devono" → "deano"

Deaffricazione di /ʧ/ e /ʤ/

Un fenomeno fonetico importante è l'indebolimento intervocalico delle consonanti affricate comunemente dette g palatale IPA /ʤ/ e c palatale IPA /ʧ/, chiamato tradizionalmente attenuazione.

Tra due vocali (e in assenza di rafforzamento fonosintattico), la consonante scempia affricata postalveolare sonora passa a fricativa postalveolare sonora:

/ʤ/[ʒ].

Questo fenomeno è evidente e si può chiaramente sentire nel parlato (ed è diffuso - seppure non con la stessa sistematicità[non chiaro] - anche in Umbria e nelle Marche): la gente, in italiano standard /laˈʤɛnte/ [la'ʤɛnte], si realizza in toscano come [laˈʒɛnte].

Analogamente, la consonante affricata postalveolare sorda passa a fricativa postalveolare sorda tra due vocali:

/ʧ/[ʃ].

Così, la cena, in italiano standard /laˈʧena/ [la 'ʧeːna], in toscano diviene [laˈʃeːna].

Dato che in toscano (e quindi in italiano standard) il fonema /ʃ/, rappresentato dal digrafo sc, è sempre geminato, non può avvenire confusione a livello fonologico tra i suoni espressi: pesce, in italiano standard e toscano: ['peʃːe]; pece, in italiano standard: ['peʧe], in toscano: ['peʃe]. Nel caso del fono [ʒ] non può avvenire alcuna confusione dato che non esiste in italiano standard come fonema.

Affricazione di /s/

Un fenomeno comune a tutta la Toscana (ad eccezione delle zone di Firenze e Prato) è il passaggio della fricativa /s/ ad affricata quando preceduta da /r/, /l/, /n/.

/s/[ʦ].

Ad esempio, "il sole", che in italiano standard si pronuncia [ilˈsoːle]/, in toscano non-fiorentino suona [ilˈʦoːle]; il fenomeno è presente anche dopo di una consonante, come in "falso". Si tratta di un fenomeno diffuso in tutta l'Italia centromeridionale, in alcune parti della quale si può avere anche sonorizzazione di [ʦ].

Elisione di /wɔ/ in /ɔ/

Questo fenomeno coinvolge la sequenza , che proviene da un fonema latino unico ŏ (/ɔ/), che perde la /w/ in toscano moderno, così che:

/ɔ/ → (/wɔ/ →) /ɔ/.

Così:

Il latino bŏnum /ˈbɔnʊ̃/ diventa in (fiorentino trecentesco e quindi in) italiano buono /ˈbwɔno/, ma in toscano (moderno) torna a ridursi a bòno /ˈbɔno/ (in realtà, la forma "ridotta" /ɔ/, in toscano, è sempre coesistita a livello popolare con la sequenza /wɔ/).

Trasformazione di "Qu" in "V"

In molte aree della Toscana la "Qu" diviene "V", per cui "qui" diviene "vi" e "quello" diviene "vello".

Trasformazione di "Schi" in "Sti"

In Toscana "Schi" diviene "Sti", ad es. "schiacciata" si dice "stiacciata".

Roticizzazione di "L"

Nella costa tirrenica "L" seguito da consonante diviene "R". Es. "altro"→ "artro", "albero"→ "arbero", e l'articolo "il" passa a "ir".

Sintassi

Non si riconoscono nel dialetto toscano fenomeni sintattici particolari diversi dall'italiano standard.

Morfologia

Articolo determinativo davanti ai nomi propri

Oltre che nei dialetti non toscani come quelli della provincia di Massa Carrara o dei territori amministrativamente toscani posti oltre il crinale appenninico, anche in garfagnino-versiliese, pistoiese, pratese e in numerose varianti del fiorentino (eccettuate quelle parlate nell'Empolese, in Val di Pesa e nel Valdarno superiore) è tipico l'utilizzo dell'articolo determinativo davanti ai nomi propri femminili, caratteristica diffusa anche nel Nord, ma non è usuale apporlo ai nomi maschili. Tale caratteristica manca in lucchese (se non in valdinievolino), pisano, senese, aretino, casentinese, grossetano, amiatino ecc.

  • in italiano: non vedo Elisa da molto tempo
  • nelle suddette varianti di toscano: un vedo l'Elisa da molto/parecchio tempo

Tu e Te

In toscano, come in parecchie varietà settentrionali dell'italiano, è d'uso corrente il pronome te anche al nominativo/soggetto, in luogo dell'italiano standard tu.

  • in italiano standard: tu fai pena
  • in toscano occidentale: te fa(i) pena
  • in toscano fiorentino: tu fa' pena

Nel fiorentino viene usato il pronome tu molto spesso nelle frasi.

  • in italiano: ma che fai?
  • in toscano fiorentino: ma i' che tu fai?

Si dà inoltre il caso di due pronomi soggetto, in cui il primo è forma libera, il secondo un clitico: te tu devi fare... (come in francese "moi, je t'aime").

"Non"

In tutta la Toscana, soprattutto nel fiorentino, nella Versilia, nel basso Valdarno e nell'area meridionale (aretino, grossetano e senese, pisano e livornese) la negazione "non" viene modificata in "un".

Doppio pronome dativo

Fenomeno morfologico, citato anche da Alessandro Manzoni nel suo romanzo I promessi sposi, è il raddoppiamento del pronome personale dativo.

Nel porre un pronome personale al complemento di termine (a qualcosa, a qualcuno), chiamato anche caso dativo con un verbo, l'italiano standard si serve di una preposizione + pronome, a me, o di una forma sintetica di derivazione latina, mi. Il toscano si serve di entrambi nella frase come rafforzamento del dativo/complemento di termine:

  • in italiano: a me piace o mi piace
  • in toscano: a me mi piace oppure a me mi garba

Questa forma è diffusa in tutto il Centro-Sud, non solo in Toscana, ed è considerata ridondante se non addirittura scorretta in italiano standard, poiché una forma del pronome rende inutile l'altra. Tuttavia, alcuni linguisti tendono a rivalutare questo costrutto, che non viene considerato nemmeno più un pleonasmo. Aldo Gabrielli scrive in proposito: «Non è errore, non è da segnare con matita blu, e nemmeno con matita rossa. Qui pure si tratta semplicemente d'uno di quei casi in cui la grammatica concede l'inserzione in un normale costrutto sintattico di elementi sovrabbondanti al fine di dare alla frase un'efficacia particolare, un particolare tono. È insomma uno dei tanti accorgimenti stilistici di cui tutte le lingue fanno uso»[2]. Un fenomeno simile si trova anche nella lingua macedone, dov'è obbligatorio date certe condizioni, e nella lingua bulgara; si trova anche in altre lingue romanze, come in spagnolo dove l'espressione a mí me gusta. è d'uso comune. Anche il linguista Giovanni Nencioni, presidente dell'Accademia della Crusca, ha affermato che questa forma adempie una sua specifica funzione comunicativa nell'italiano parlato, ed è utilizzabile in contesti opportuni.[3] In alcuni dialetti si può sentire anche il doppio pronome accusativo (me mi vedi), ma è una forma antiquata e di scarso uso comune.

Noi + Si impersonale

Un fenomeno morfologico diffuso nell'intero territorio dialettale toscano (e comune alla lingua francese) è l'uso personale del si in forma "impersonale" (da non confondersi con il "si passivante" e il "si riflessivo").

In particolare, oltre alla forma regolare di prima persona plurale per tutti i verbi, è possibile usare anche la costruzione Si + Verbo in terza persona singolare, a cui può venire preposto anche il pronome soggetto di prima persona plurale Noi, poiché il "si" viene sentito ormai come parte integrante della coniugazione del verbo.

  • italiano: Andiamo a mangiare, Noi andiamo là
  • toscano: Si va a mangia', Noi si va là (in fiorentino si 'a a mangiare, dato che in questa posizione non si ha il troncamento dell'infinito)
  • francese: "On mange quelque chose", "Nous, on mange quelque chose"

Il fenomeno avviene in tutti i tempi verbali, compresi quelli composti. Qui, la sostituzione di noi con si porta con sé l'uso del verbo essere come ausiliare, anche se il verbo richiederebbe avere come ausiliare. Inoltre il participio passato deve accordarsi col soggetto in genere e numero se il verbo di per sé avesse avuto essere come ausiliare, mentre non si accorda se in genere avesse richiesto il verbo avere. In francese l'ausiliare rimane regolare e il participio passato deve accordarsi col soggetto in genere e numero se l'ausiliare del verbo è "essere".

  • italiano: Abbiamo mangiato al ristorante
  • toscano fiorentino: S'è mangiato a i' ristorante (l'occidentale ha come articolo er, ir, el ecc.)
  • francese: "On a mangé au restaurant", "(Nous) On est partis très tôt"

Generalmente Si diventa S' davanti ad è.

L'uso del si impersonale al posto del noi evita in toscano l'ambiguità tra indicativo e il congiuntivo (che invece si crea in italiano standard) poiché (noi) si mangia e che si mangi sono forme distinte mentre l'italiano ha mangiamo sia per l'indicativo che per il congiuntivo.

"Fare" e "andare"

Un altro fenomeno morfologico molto presente nel toscano (ma comune anche ad altri dialetti) è l'abbreviazione delle prime persone singolari al presente di fare, andare.

  • Fare: faccio = fo
  • Andare: vado = vo

Queste abbreviazioni dei verbi sono dovute al continuo uso di queste forme nella lingua parlata, fatto che ha provocato una perdita dei suoni interni tra la prima consonante e la desinenza personale -o nel caso di vado, e poi regolarizzazione del paradigma per faccio, presumibilmente sul modello:

  • Latino: sapio → italiano so

Inoltre ha presumibilmente influito l'analogia con le forme della seconda e della terza persona singolare degli stessi verbi, che presentano forme ridotte rispetto al resto della coniugazione del verbo:

  • Fare: ...fai, fa...
  • Andare: ...vai, va...

Arcaismi (verbo diventare)

In alcune aree della toscana centro occidentale (area del pisano) si usano tuttora forme arcaiche o ricercate di alcuni verbi. Ad esempio il verbo diventare è usato nella sua forma arcaica/poetica doventare.

  • italiano: diventa rosso
  • toscano: doventa rosso

Aggettivi possessivi

Altro fenomeno morfologico prevalente nel toscano è la perdita delle desinenze di genere e numero degli aggettivi possessivi delle tre persone singolari in posizione proclitica:

  • mio, mia, miei, miemi',
  • tuo, tua, tuoi, tuetu',
  • suo, sua, suoi, suesu'.

Il fenomeno appare come simile a quello che ha portato alla formazione degli aggettivi possessivi spagnoli (che hanno forma identica).

I pronomi possessivi non risentono di questo fenomeno, come gli aggettivi stessi se posti dopo il verbo o il nome:

In toscano, quindi: la casa è mia, a casa mia, ma la mi' casa.

Tuttavia quando l'aggettivo possessivo viene usato in funzione prepositiva, o come pronome possessivo dopo il verbo, la forma plurale presenta forme alternative:

  • italiano standard: Prendo le mie
  • toscano: Prendo le mia
  • italiano standard: Non sono affari tuoi
  • toscano: Un sono affari tua

L'origine di queste forme plurali alternative è da attribuire alla forma latina neutra plurale, mea, tua, sua, che in italiano standard scompare mentre in toscano è sopravvissuta; forme di altro tipo sono da attribuire all'analogia con altre forme.

Articolo determinativo maschile

Una caratteristica morfo-fonologica che suddivide i dialetti toscani riguarda l'articolo determinativo maschile singolare "il". Nella zona della parlata fiorentino-pratese, fino a Pistoia, esclusa, e fino a San Miniato, inclusa, e scendendo a sud fino a San Gimignano e alcune zone del comune di Poggibonsi, la consonante liquida [l] cade, allungando (raddoppiando) la consonante successiva.

In tal modo l'articolo non forma più legami con le preposizioni, ma solo col suo sostantivo:

Si riesce a distinguere dal corrispondente articolo determinativo maschile plurale, perché quest'ultimo non provoca il raddoppiamento:

Nell'area occidentale invece la liquida [l] subisce spesso rotacismo ([l][ɾ]), ad eccezione se seguita da un'altra [l]:

Quest'ultimo fenomeno è variamente diffuso, soprattutto sulla costa (Livorno e Pisa).

Perdita di "-re"

Un altro fenomeno morfologico, di origine dubbia ma quasi sicuramente non toscana, è la perdita della desinenza -re dell'infinito.

  • andàreandà
  • pèrderepèrde'
  • finìrefinì
  • mangiàremangià

Caratteristica importante di questa perdita è che l'accento rimane sulle posizioni precedenti, e non si sposta sulla nuova penultima sillaba, differenziando spesso la nuova forma dalla terza persona singolare dell'indicativo presente.

Le forme risultanti sono cogeminanti quando ultimali (i.e. quando l'accento d'intensità cade sull'ultima sillaba), il che si spiega postulando una forma intermedia in -r.

Questo fenomeno non si riscontra nelle zone di Firenze e Prato tranne che all'interno di frase.

Nel verbo all'infinito seguito da particella pronominale la r finale del verbo sparisce e raddoppia la lettera iniziale del pronome.

  • lavarsilavassi
  • lavarmilavammi
  • lavartilavatti
  • lavarcilavacci
  • lavarvilavavvi

Nei verbi all'infinito della seconda coniugazione seguiti da particella pronominale si ha la scomparsa non solo della r ma dell'intero gruppo er il quale viene sostituito da una i.

  • permettersipermettisi

Suddivisione dei dialetti

I dialetti di tipo toscano costituiscono un insieme di varianti minori locali, detti vernacoli, con differenze minime tra di essi ma comunque sufficientemente evidenti[4].

Nel Medioevo i vernacoli principali erano quattro: fiorentino, senese, pisano-lucchese e toscano orientale, situazione descritta anche da Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia che li identificò come fiorentino, senese, lucchese e aretino.

Nel XVI secolo il panorama vernacolare si complica perché, secondo quanto descritto da Claudio Tolomei ne Il Cesano, praticamente ogni borgo aveva il proprio vernacolo che si distingueva da quelli vicini per differenze sottili nell'accento e nel lessico, tanto sottili che un non toscano non le avrebbe colte, e cita come esempi i parlari di Arezzo, Volterra, Siena, Firenze, Pisa, Pistoia, Lucca, Cortona.

Nel XIX secolo, in base agli studi di Carl Ludwig Fernow, Johann Christoph Adelung e Ludwig Gottfried Blanc, i vernacoli principali erano sei: fiorentino, senese, pistoiese, pisano, lucchese e aretino. Questa suddivisione venne affinata da Francesco Cherubini che individuò fiorentino, senese, pisano proprio, sassarese (un vernacolo pisano), lucchese, garfagnino (in realtà affine al versiliese e all'apuano e decisamente distinto dal lucchese), pistoiese, pesciatino (in realtà affine al lucchese), pratese, livornese, elbano, aretino, cortonese, maremmano, volterrano, corso, massese (in realtà già gallo-italico).

Nella seconda metà del XX secolo, Giovan Battista Pellegrini nella sua Carta dei dialetti d'Italia (1977) individuò:

I. fiorentino
II. senese
III. toscano occidentale
IIIa. pisano-livornese-elbano
IIIb. pistoiese
IIIc. lucchese
IV. aretino
V. grossetano-amiatino
VI. apuano Anche se per molti linguisti questa attribuzione del dialetto massese-alto garfagnino ai dialetti toscani non ha altre giustificazioni che di ordine geografico, essendo evidenti, a un'analisi di tipo linguistico, le scarse influenze del toscano, mentre preponderanti sono quelle dell'emiliano (nel lessico e nella sintassi) e del ligure (nella fonetica). Solo nelle aree meridionali del territorio apuano (in Garfagnana a sud di Camporgiano nel fondovalle e a sud di Perpoli sulle pendici montane, sulla costa a sud del Lago di Porta), dove si parla il dialetto alto versiliese-basso garfagnino si avvertono influssi toscani apprezzabili.

Tale situazione è stata ancor più affinata da Luciano Giannelli (Toscana, 1976, ma aggiornata nel 2000) che individua:

Note

  1. ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
  2. ^ Vedi A. Gabrielli, bibliografia.
  3. ^ A me mi: è una forma corretta? | Accademia della Crusca
  4. ^ La sezione "Suddivisione dialettale" è redatta in base a Silvia Calamai, La Toscana dialettale. Un percorso bibliografico tra suoni, forme e parole (pdf), 2007.

Bibliografia

  • S. Rosi Galli, Vohabolario del Vernaholo fiorentino e del Dialetto Toscano di ieri e di oggi, Romano editore, Firenze, 2009.
  • A. Gabrielli, Il museo degli errori, Oscar Mondadori, Milano, 1977. ISBN 88-04-35418-6.
  • G. Gabrielli, L. Gori, S. Lucarelli, Vocabolario Pistoiese, Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2000.
  • G. Bertoni, Italia dialettale, Cisalpino Goliardica, Milano, 1986.
  • A. Nocentini, L'Europa linguistica, Le Monnier Università, Firenze, 2004.

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