Rivolte del 1953 nella Germania Est: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 51: Riga 51:
Il 15 giugno gli operai edili impegnati nella costruzione dell'ospedale di Friedrichshain, sulla Stalinallee, iniziarono uno sciopero, volto a ottenere la revoca dell'innalzamento del 10% delle quote di produzione, che nel loro caso era stato introdotto la settimana precedente. La richiesta venne ribadita in una lettera inviata dai rappresentanti dei lavoratori al presidente del consiglio della Repubblica, [[Otto Grotewohl]].<ref name=":3">{{Cita web|url=https://www.bpb.de/themen/deutsche-teilung/der-aufstand-des-17-juni-1953/152600/der-17-juni-in-berlin/|titolo=Der 17. Juni in Berlin|autore=Burghard Ciesla|autore2=Hans-Hermann Hertle|autore3=Stefanie Wahl|editore=Bundeszentrale für politische Bildung|lingua=de}}</ref>
Il 15 giugno gli operai edili impegnati nella costruzione dell'ospedale di Friedrichshain, sulla Stalinallee, iniziarono uno sciopero, volto a ottenere la revoca dell'innalzamento del 10% delle quote di produzione, che nel loro caso era stato introdotto la settimana precedente. La richiesta venne ribadita in una lettera inviata dai rappresentanti dei lavoratori al presidente del consiglio della Repubblica, [[Otto Grotewohl]].<ref name=":3">{{Cita web|url=https://www.bpb.de/themen/deutsche-teilung/der-aufstand-des-17-juni-1953/152600/der-17-juni-in-berlin/|titolo=Der 17. Juni in Berlin|autore=Burghard Ciesla|autore2=Hans-Hermann Hertle|autore3=Stefanie Wahl|editore=Bundeszentrale für politische Bildung|lingua=de}}</ref>


Il mattino del giorno successivo, il 16 giugno 1953, funzionari del [[Freier Deutscher Gewerkschaftsbund|FGB]], il sindacato unico della DDR, dichiararono agli edili in sciopero che l'innalzamento delle quote non poteva essere revocato. A quel punto gli operai scesero in strada dirigendosi verso la [[Haus der Ministerien]], la sede del governo della DDR. Al corteo si unirono anche gli operai dei cantieri vicini lungo la Stalinallee. Si formò così una manifestazione di circa 700 persone davanti alla sede del governo. Il ministro dell'industria, [[Fritz Selbmann]], si affacciò alla finestra annunciando la revoca dell'innalzamento delle quote di produzione, ma non venne quasi sentito, mentre si levavano dalla folla richieste di libere elezioni, finché tra grida di giubilo fu proposto di indire uno [[sciopero generale]] per l'indomani. La manifestazione a questo punto si sciolse, ma mentre i lavoratori attraversavano il centro cittadino tornando verso la Stalinallee, molti giovani si unirono a loro, creando una manifestazione diffusa di {{formatnum:20000}} persone. Nel frattempo, una macchina con un altoparlante proclamava lo sciopero generale e una manifestazione per il mattino successivo. L'appuntamento era alle 7, nella [[Strausberger Platz]].<ref name=":3" />
Il mattino del giorno successivo, il 16 giugno 1953, funzionari del [[Freier Deutscher Gewerkschaftsbund|FDGB]], il sindacato unico della DDR, dichiararono agli edili in sciopero che l'innalzamento delle quote non poteva essere revocato. A quel punto gli operai scesero in strada dirigendosi verso la [[Haus der Ministerien]], la sede del governo della DDR. Al corteo si unirono anche gli operai dei cantieri vicini lungo la Stalinallee. Si formò così una manifestazione di circa 700 persone davanti alla sede del governo. Il ministro dell'industria, [[Fritz Selbmann]], si affacciò alla finestra annunciando la revoca dell'innalzamento delle quote di produzione, ma non venne quasi sentito, mentre si levavano dalla folla richieste di libere elezioni, finché tra grida di giubilo fu proposto di indire uno [[sciopero generale]] per l'indomani. La manifestazione a questo punto si sciolse, ma mentre i lavoratori attraversavano il centro cittadino tornando verso la Stalinallee, molti giovani si unirono a loro, creando una manifestazione diffusa di {{formatnum:20000}} persone. Nel frattempo, una macchina con un altoparlante proclamava lo sciopero generale e una manifestazione per il mattino successivo. L'appuntamento era alle 7, nella [[Strausberger Platz]].<ref name=":3" />


Una delegazione di lavoratori nel frattempo si era recata presso la [[Rundfunk im amerikanischen Sektor|RIAS]], l'emittente radio americana di Berlino ovest, chiedendo di diffondere le richieste dei lavoratori e l'appello allo sciopero generale. La radio non trasmise l'appello allo sciopero, ma trasmise le richieste dei manifestanti: l'innalzamento dei salari al livello precedente all'innalzamento delle quote di produzione, l'immediata riduzione dei prezzi dei generi primari, libere elezioni, assicurazioni sul fatto che i manifestanti e i loro rappresentanti non avrebbero dovuto subire ritorsioni. La notizia delle manifestazioni di Berlino si diffuse così (oltre che con il passaparola di pendolari, ferrovieri e con i telefoni aziendali) in tutto il paese.<ref name=":3" />
Una delegazione di lavoratori nel frattempo si era recata presso la [[Rundfunk im amerikanischen Sektor|RIAS]], l'emittente radio americana di Berlino ovest, chiedendo di diffondere le richieste dei lavoratori e l'appello allo sciopero generale. La radio non trasmise l'appello allo sciopero, ma trasmise le richieste dei manifestanti: l'innalzamento dei salari al livello precedente all'innalzamento delle quote di produzione, l'immediata riduzione dei prezzi dei generi primari, libere elezioni, assicurazioni sul fatto che i manifestanti e i loro rappresentanti non avrebbero dovuto subire ritorsioni. La notizia delle manifestazioni di Berlino si diffuse così (oltre che con il passaparola di pendolari, ferrovieri e con i telefoni aziendali) in tutto il paese.<ref name=":3" />

Versione delle 00:48, 7 apr 2023

Rivolte del 1953 nella Germania Est
Carri armati sovietici a Lipsia, 17 giugno 1953
Data16-17 giugno 1953
LuogoGermania Est
EsitoMoti soppressi
Schieramenti
Comandanti
Nessuna leadership centralizzataBandiera dell'Unione Sovietica Lavrentij Berija
Bandiera della Germania Est Walter Ulbricht
Voci di rivolte presenti su Wikipedia

Le rivolte del 1953 nella Germania Est furono una serie di sollevazioni avvenute nella Repubblica Democratica Tedesca quando uno sciopero di manovali edili si trasformò in una rivolta contro il governo della DDR. I tumulti a Berlino Est, il 17 giugno, vennero repressi con la forza dal Gruppo di forze sovietiche in Germania (ГСВГ, Группа советских войск в Германии).

Contesto

Secondo giorno di congresso della SED, 10 luglio 1952 (da sx a dx: Walter Ulbricht, Wilhelm Pieck, Otto Grotewohl).

La "costruzione del socialismo"

Le origini delle rivolte del 1953 risalgono all'anno precedente, quando, in seguito al rifiuto occidentale di acconsentire a una Germania unificata ma neutrale, i sovietici decisero di consolidare il proprio potere nella loro ex zona di occupazione attraverso la costruzione di un vero e proprio stato tedesco orientale sul modello sovietico. Nel luglio 1952 il II congresso del Partito Socialista Unificato di Germania (SED) decise così di passare alla fase della "costruzione del socialismo", vale a dire un deciso programma di socializzazione delle proprietà ancora in mano di privati. Nelle campagne ciò si tradusse in un processo di collettivizzazione (dapprima volontaria, poi, dall'autunno 1952, forzata), che mirava a far aderire gli agricoltori alle neonate cooperative di produzione agricola. Mentre le cooperative venivano sovvenzionate, chi non aderiva veniva sottoposto a quote di produzione vessatorie, migliaia di ex coltivatori diretti vennero imprigionati per il mancato rispetto delle quote o per tasse non pagate, e le loro terre assegnate a una cooperativa. A partire dall'inverno 1953, migliaia di ex coltivatori fuggirono all'ovest. Gli sconvolgimenti nel quadro produttivo agricolo che ne risultarono, uniti a cattive condizioni metereologiche, comportarono una crisi nella produzione agricola e quindi una ridotta disponibilità di diversi prodotti primari, come burro, latte e carne.[1][2]

I problemi economici erano acuiti da altre due politiche decise dal II congresso della SED: da un lato la militarizzazione del paese, con la trasformazione della Kasernierte Volkspolizei in un vero e proprio esercito di 113 000 uomini e un grosso aumento delle spese per l'armamento (importato dall'Urss); dall'altro la decisione di privilegiare l'industria pesante, che provocò una scarsità dei prodotti di consumo.[2]

La reazione del regime alle difficoltà economiche fu di ulteriore chiusura. Da un lato a partire dalla fine del 1952 venne avviata una campagna di espropri delle piccole e medie imprese del terziario come commercianti, albergatori, ristoratori e imprese di trasporti, i cui proprietari venivano spesso imprigionati per "crimini contro le disposizioni in materia economica". Dall'altro lato venne avviata una campagna contro i "sabotatori" interni, in primo luogo la Chiesa evangelica, l'unica organizzazione ancora indipendente rispetto al governo. Il 28 aprile 1953 il Ministero degli Interni dichiarò "organizzazioni illegali" gli Junge Gemeinden, le organizzazioni che raggruppavano i giovani aderenti alla Chiesa e che erano visti dal regime come concorrenti della FDJ, l'organizzazione giovanile comunista. Mentre migliaia di studenti cristiani vennero espulsi dalle scuole e dalle università, iniziò una campagna di intimidazione contro la Chiesa, con controlli delle manifestazioni religiose, perquisizioni e arresti dei pastori critici verso il regime.[2]

A livello economico invece il governo reagì nel febbraio 1953 chiedendo alle aziende di innalzare le quote di produzione richieste ai lavoratori. Tali quote, di per sé basse, determinavano anche il salario, il cui livello base era così ridotto da rendere indispensabili i premi di produzione (calcolati in base alle quote). Un effettivo aumento della produttività era reso di fatto impossibile a causa dei tempi morti determinati dalla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime da parte delle aziende, dunque l'aumento delle quote significava di fatto una diminuzione dei salari. Nell'aprile seguirono altre misure: il ritiro delle tessere annonarie (il razionamento era ancora in vigore dalla guerra mondiale) per i lavoratori autonomi ancora rimasti, l'innalzamento dei prezzi per carne e prodotti contenenti zucchero e il ritiro dei biglietti dei mezzi pubblici a prezzo ridotto per i lavoratori. Inoltre poiché vi erano stati pochissimi innalzamenti volontari delle quote di produzione da parte delle singole aziende, il 28 maggio venne deciso che entro il 30 giugno esse sarebbero dovute essere innalzate del 10% in tutte le aziende. Queste misure, che colpivano l'intera popolazione, furono accolte da una forte opposizione. Il numero di emigrati all'ovest schizzò, con 300 000 persone fuggite tra luglio 1952 e l'aprile 1953, nonostante la costruzione di barriere fisiche lungo il confine tra le due Germanie (ma non a Berlino). Allo stesso tempo vi furono piccoli scioperi nell'inverno e nel maggio, mentre il numero di detenuti politici passò da 37 000 a 67 000 persone.[2][3][4]

Il "Neue Kurs"

La situazione in Germania est, e soprattutto l'esodo di massa della sua popolazione all'ovest, fece però sorgere forti preoccupazioni nella nuova dirigenza sovietica andata al potere dopo la morte di Stalin (avvenuta il 5 marzo 1953). Da un lato vi erano preoccupazioni sulla capacità del regime di Ulbricht di mantenersi al potere, dall'altro le politiche di quest'ultimo offuscavano la "campagna per la pace" orchestrata da Mosca. Le prime misure vennero adottate il 28 aprile, quando vennero accordati aiuti economici allo stato tedesco orientale, mentre la missione sovietica a Berlino est venne trasformata in ambasciata. Ma fu il 27 maggio che, in una seduta del Presidium del Consiglio dei Ministri sovietico dedicata al tema della Germania est, si decise un deciso cambio di linea: la fine della collettivizzazione forzata, la fine della persecuzione della chiesa protestante, una minore severità in ambito giudiziale e poliziesco e maggiori investimenti nella produzione industriale di beni di consumo.[5]

Dal 2 al 4 giugno Ulbricht e Grotewohl vennero convocati a Mosca, dove accettarono di assumersi pubblicamente la responsabilità del fallimento delle politiche della "costruzione del socialismo", ottenendo ulteriori aiuti economici e una dilazione dei pagamenti relativi alle riparazioni di guerra.[5] L'11 giugno venne pubblicato su Neues Deutschland un comunicato del Politburo della SED, in cui si riconoscevano gli errori della fase precedente e si annunciava un "Neue Kurs" (letteralmente, "nuovo corso"), che comportava: la revoca degli aumenti dei prezzi decisi in aprile, la reistituzione dei biglietti dei mezzi pubblici a prezzo ridotto per i lavoratori, la restituzione delle tessere annonarie ai lavoratori autonomi, la cessazione delle politiche antiecclesiastiche e la riammissione nelle scuole e nelle università degli studenti espulsi, la restituzione su richiesta delle attività economiche requisite, la revisione dei procedimenti giudiziari per reati economici e il rilascio delle persone arrestate, la concessione di crediti alle aziende private per stimolare la produzione di beni di consumo. Lo stesso giorno Consiglio dei ministri confermò le misure "suggeritegli" dal Politburo, aggiungendovi anche regole più flessibili sui viaggi nella Germania ovest e la restituzione della cittadinanza e facilitazioni per i cittadini fuggiti all'ovest che fossero voluti ritornare.[2]

Per la popolazione questa drastica inversione a U costituì il segno del fallimento politico della SED. Gli iscritti e i quadri della SED rimasero disorientati, vedendo improvvisamente sconfessata la linea politica che avevano difeso e fatto applicare fino ad allora. Ma soprattutto, l'unica misura della fase precedente ancora in vigore era rimasto l'aumento delle quote di produzione, che andava a colpire i lavoratori. Tra questi ultimi montò quindi in modo ancor più deciso la protesta, volta a ottenerne la revoca. I contadini, i lavoratori autonomi e i membri delle organizzazioni cristiane dal canto loro chiesero con decisione l'immediato riottenimento dei diritti che avevano perduto negli anni precedenti. Il 12 giugno, a Brandenburg an der Havel, una protesta di lavoratori di un'azienda privata, che si presentarono davanti al carcere chiedendo l'immediata liberazione del proprio capo, sfociò in scontri che coinvolsero qualche migliaio di persone.[2]

Le rivolte

La Stalinallee nel maggio 1953

15-16 giugno: la protesta degli operai edili

Il 15 giugno gli operai edili impegnati nella costruzione dell'ospedale di Friedrichshain, sulla Stalinallee, iniziarono uno sciopero, volto a ottenere la revoca dell'innalzamento del 10% delle quote di produzione, che nel loro caso era stato introdotto la settimana precedente. La richiesta venne ribadita in una lettera inviata dai rappresentanti dei lavoratori al presidente del consiglio della Repubblica, Otto Grotewohl.[6]

Il mattino del giorno successivo, il 16 giugno 1953, funzionari del FDGB, il sindacato unico della DDR, dichiararono agli edili in sciopero che l'innalzamento delle quote non poteva essere revocato. A quel punto gli operai scesero in strada dirigendosi verso la Haus der Ministerien, la sede del governo della DDR. Al corteo si unirono anche gli operai dei cantieri vicini lungo la Stalinallee. Si formò così una manifestazione di circa 700 persone davanti alla sede del governo. Il ministro dell'industria, Fritz Selbmann, si affacciò alla finestra annunciando la revoca dell'innalzamento delle quote di produzione, ma non venne quasi sentito, mentre si levavano dalla folla richieste di libere elezioni, finché tra grida di giubilo fu proposto di indire uno sciopero generale per l'indomani. La manifestazione a questo punto si sciolse, ma mentre i lavoratori attraversavano il centro cittadino tornando verso la Stalinallee, molti giovani si unirono a loro, creando una manifestazione diffusa di 20 000 persone. Nel frattempo, una macchina con un altoparlante proclamava lo sciopero generale e una manifestazione per il mattino successivo. L'appuntamento era alle 7, nella Strausberger Platz.[6]

Una delegazione di lavoratori nel frattempo si era recata presso la RIAS, l'emittente radio americana di Berlino ovest, chiedendo di diffondere le richieste dei lavoratori e l'appello allo sciopero generale. La radio non trasmise l'appello allo sciopero, ma trasmise le richieste dei manifestanti: l'innalzamento dei salari al livello precedente all'innalzamento delle quote di produzione, l'immediata riduzione dei prezzi dei generi primari, libere elezioni, assicurazioni sul fatto che i manifestanti e i loro rappresentanti non avrebbero dovuto subire ritorsioni. La notizia delle manifestazioni di Berlino si diffuse così (oltre che con il passaparola di pendolari, ferrovieri e con i telefoni aziendali) in tutto il paese.[6]

La reazione della Stasi a queste prime manifestazioni fu cauta. Il direttore, Wilhelm Zaisser, ordinò di lasciare che le manifestazioni si spegnessero da sé grazie alla promessa revoca dell'innalzamento delle quote di produzione. I sovietici in ogni caso allertarono le loro truppe acquartierate attorno alla capitale tedesca.[6]

17 giugno: la rivolta a Berlino

Il 17 giugno si aprì alle 5:36 del mattino con un messaggio via radio ai cittadini di Berlino est di Ernst Scharnowski, presidente della federazione berlinese del maggiore sindacato tedesco occidentale, il Deutscher Gewerkschaftsbund. Evitando un esplicito appello allo sciopero generale, vietato dalle autorità alleate occidentali, Scharnowski incitò i lavoratori di Berlino est a sostenere la lotta degli edili. Il suo messaggio venne rimandato in onda quattro volte dalla RIAS, che durante la giornata seguirà una programmazione straordinaria aggiornando ogni mezz'ora i propri ascoltatori sugli eventi in corso.[6]

A partire dalle 6 si svolsero assemblee in moltissime aziende della città, da cui partirono poi cortei diretti verso Strausburger Platz. Oltre alle richieste sindacali venivano esplicitamente fatte anche richieste politiche, come le dimissioni del governo, libere elezioni e la riunificazione della Germania. Alle 7:45 la Volkspolizei tentò di sgomberare la piazza, senza riuscirvi. La massa delle persone a quel punto si spostò in Leipziger Straße, verso la Haus der Ministerien. Nel frattempo sopraggiungevano sempre nuovi cortei (uno dei quali, proveniente da Hennigsdorf, attraversò Berlino ovest) e vi furono altre concentrazioni di manifestanti alla Porta di Brandeburgo e ad Alexanderplatz. Alle 8 manifestavano nel centro di Berlino circa 10 000 persone. La manifestazione a questo punto aveva perso il carattere pacifico del giorno precedente: non solo si verificarono in diversi luoghi scontri con la Volkspolizei, ma funzionari della SED furono picchiati, vi furono assalti ad edifici pubblici (l'Haus der Ministerien venne occupata e vandalizzata al suo interno), mentre alcuni manifestanti iniziarono ad assaltare i mezzi della polizia e della Stasi e a dar fuoco alle strutture di controllo doganale al confine con Berlino ovest. Alle 11:10 alcuni giovani rimossero e fecero a pezzi la bandiera rossa che sventolava sulla Porta di Brandeburgo, sostituendola col tricolore tedesco.[6]

Carro armato sovietico nella Schützenstraße di Berlino Est

A questo punto intervennero le forze militari sovietiche. Dopo che alle 11 erano stati interrotti i trasporti pubblici per impedire l'afflusso di ulteriori manifestanti dalla periferia e dalle campagne, alle 11:30 si videro i primi carri armati nel centro cittadino: arrivati da Wilhelmstraße, svoltarono poi su Leipziger Straße, dirigendosi su Potsdamer Platz. Lungo il loro percorso aprirono il fuoco sulla folla, causando morti e feriti, mentre gli arrestati passavano direttamente nelle mani delle autorità militari sovietiche. Alle 13 le truppe sovietiche sgomberarono la sede del governo, mentre alla stessa ora veniva dichiarato lo stato di emergenza a Berlino est. Alle 14:30 i sovietici arrivarono alla Porta di Brandeburgo, dove aprirono nuovamente il fuoco contro la folla e rimossero la bandiera nera, rossa e oro. Data la vicinanza del confine, molti feriti riuscirono a mettersi in salvo all'ovest.[6]

Columbushaus in fiamme.

Ma la giornata non era ancora finita.Verso le 15 a Treptow alcuni manifestanti riconobbero Otto Nuschke, presidente della CDU orientale e vicepresidente del Consiglio dei Ministri della DDR. Nuschke venne costretto a scendere dalla propria auto e venne consegnato alla polizia occidentale. Alle 17 venne incendiata dai manifestanti la Columbushaus, in Potsdamer Platz, dove le truppe spararono nuovamente sulla folla. Ciò nonostante, alle 20 vi rimanevano ancora circa 3000 persone, che il sindaco SPD di Kreuzberg, Willy Kressmann, invitò a tornare nelle proprie case. Molti di loro a quel punto passarono la frontiera rifugiandosi nel settore occidentale. Furono gli ultimi, poiché pochi minuti dopo le autorità orientali riusciranno a chiudere il confine con Berlino ovest. Un'ora più tardi venne imposto il coprifuoco nell'intero settore orientale dell'ex capitale tedesca.[6]

Bilancio

Ci furono complessivamente quasi 5000 arresti.[senza fonte] Ancora oggi non è chiaro quante persone morirono durante le sollevazioni e per le condanne a morte che seguirono. Il numero ufficiale delle vittime è 51.[senza fonte] Dopo l'analisi dei documenti resi accessibili a partire dal 1990, il numero di vittime sembrerebbe essere di almeno 125.[senza fonte]

Malgrado l'intervento delle truppe sovietiche, l'ondata di scioperi e proteste non venne riportata facilmente sotto controllo. In più di 500 città e villaggi ci furono dimostrazioni anche dopo il 17 giugno e il momento più alto delle proteste si ebbe a metà luglio.

Memoria e valutazioni storiografiche

Segnale stradale della Straße der 17. Juni nel 1988, con il muro di Berlino e la Porta di Brandeburgo sullo sfondo.

In memoria dei moti nella Germania Est, la Germania Ovest dichiarò il 17 giugno come festa nazionale (fino al 1990, quando venne sostituito dal 3 ottobre, data della formale riunificazione) e la Charlottenburger Chaussee che attraversava Berlino Ovest venne ribattezzata Straße des 17. Juni.

Accuse di influenze statunitensi

Le autorità della DDR, tra cui Otto Nuschke, l'allora presidente dell'Unione Cristiano-Democratica (uno dei partiti del Fronte Nazionale), sostennero che le sommosse del giugno del 1953 includessero numerosi manifestanti provenienti da Berlino Ovest e che il governo della DDR godesse in realtà di un ampio supporto popolare.[7]

Lo storico statunitense Christian Ostermann ha osservato come “nuove prove dagli archivi ora accessibili del Partito Socialista Unificato di Germania e recenti documenti governativi degli Stati Uniti declassificati mostrino che l’amministrazione Eisenhower, sebbene sorpresa dalla sommossa [operaia], riconobbe subito l’opportunità […] e ideò un piano di guerra psicologica con l’obbiettivo di destabilizzare ulteriormente la situazione nella Germania dell’Est”.[8]

Lo storico del ventesimo secolo Garreth Pritchard ha invece rimarcato gli elementi nazisti coinvolti nelle proteste: ponti, muri e lavagne scolastiche furono deturpate con slogan fascisti e svastiche, mentre in alcuni posti furono inneggiate canzoni naziste. Molti abitanti delle zone orientali della Germania, infatti, erano ancora molto legati alle idee nazionaliste e nazionalsocialiste del Terzo Reich.[9]

Note

  1. ^ Ostermann 1996, pp.61-62
  2. ^ a b c d e f (DE) Hans-Hermann Hertle, Der Weg in die Krise, su bpb.de, Bundeszentrale für politische Bildung.
  3. ^ (DE) André Steiner, Steigende Preise, Mangel an Konsumwaren. Wie die schlechte wirtschaftliche Situation in der DDR 1952/53 die Unzufriedenheit in der Bevölkerung schürte, in Berliner Zeitung, 14-15 giugno 2003, p. 32.
  4. ^ Ostermann 1996, p.62
  5. ^ a b Ostermann 1996, pp.62-63
  6. ^ a b c d e f g h (DE) Burghard Ciesla, Hans-Hermann Hertle e Stefanie Wahl, Der 17. Juni in Berlin, su bpb.de, Bundeszentrale für politische Bildung.
  7. ^ NDR 1 Radio MV - Programm - Erinnerungen für die Zukunft - Leben in der DDR- Der Gruppenvorgang "Schmarotzer", su web.archive.org, 19 agosto 2009. URL consultato il 19 marzo 2023 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2009).
  8. ^ Ostermann 1996
  9. ^ Pritchard, Gareth, The Making of the GDR: From antifascism to Stalinism, Manchester, Manchester University Press, 2000.

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

Controllo di autoritàLCCN (ENsh85054667 · GND (DE4181209-8 · BNF (FRcb11966004x (data) · J9U (ENHE987007529286605171
  Portale Guerra fredda: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di guerra fredda