Annibale Ranuzzi
Il conte Annibale Lodovico Luigi Romano Ranuzzi (Bologna, 28 febbraio 1810 – Bologna, 11 agosto 1866) è stato un geografo italiano.
Nato in una delle più importanti famiglie senatorie della città, studiò presso i frati barnabiti, e proseguì gli studi di storia e filosofia presso l'Università di Bologna.
Gli studi
Durante i moti del '31 maturò la convinzione della necessità di indipendenza politica e libertà degli italiani e, pur fervente cattolico, ed iniziò ad avversare il governo papale. Nella quiescienza politica degli anni seguenti, si dedico in maniera quasi autodidatta agli studi geografici, non esistendo nell'ateneo bolognese una tradizione in tal senso. In breve tempo venne ammesso ad alcune accademie europee, tra cui la en:Royal Geographical Society di Londra, e seppe guadagnarsi la stima di eminenti studiosi, come Cristoforo Negri. Data la carenza di studi geografici all'interno dello Stato Pontificio, iniziò nel 1837 un'ampia opera pubblicistica, pubblicando "Memorie scelte di Geografia, viaggi e costumi", ed inviando articoli a riviste bolognesi, tra cui i "Nuovi Annali delle Scienze Naturali". Pubblicò un "Annuario Geografico Italiano" (1844) ed aprì un "Ufficio di Corrispondenza Geografica" nella sua città. In questi anni pubblicò anche due studi, importanti per l'epoca, sull'avvenire politico ed economico del Texas e sull'espansione coloniale inglese nella regione africana del Niger.
Il risorgimento
Dalla sua collaborazione al "Felsineo", giornale della Società Agraria, nacquerò le sue frequentazioni con gli ambienti neoguelfi e riformisti bolognesi, distogliendo l'attenzione dagli studi geografici. Nella fase centrale degli anni quaranta conobbe e strinse amicizia con Marco Minghetti, Carlo Berti Pichat, il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, Luigi Tanari, Rodolfo Audinot ed altri. Rimase scettico di fronte alle prime riforme promosse da Pio IX, diffidando del pontefice, e fu tra i sostenitori della partecipazione dello Stato Pontificio a quelle che veniva vista come una "guerra nazionale". Fu tra i fondatori della Guardia Civica della città, in cui servì come maggiore, e si adoperò per l'unificazione dei corpi di volontari che partirono per la guerra contro l'Austria. Con la sconfitta del Piemonte, si allontanò da Bologna per non essere chiamato a fare parte del Comitato di Guerra, istituito in funzione anti-austriaca dal pro-legato conte Cesare Bianchetti, che non gli perdonò in seguito l'assenza ai fatti della Montagnola.
Entrato a far parte del consiglio comunale istituito in tempi di libertà, dopo la fuga di Pio IX si pose a capo della corrente bolognese che intendeva fare di Bologna il centro della fedeltà al papa e della contestuale difesa delle libertà costituzionali. Occupata Bologna dagli austriaci, presentò e fece approvare in consiglio comunale una mozione in cui la città chiedeva al pontefice la conservazione dello Statuto. Annullata la votazione dal governatore civile e militare della città, il consiglio comunale fu sciolto, e Ranuzzi punito con otto giorni di arresto. Con la restaurazione, si avvicinò ancora di più alle posizioni del Minghetti, auspicando l'annessione al Regno di Sardegna, e ponendosi come intermediario fra i liberali bolognesi e quelli piemontesi. Iscrisse una propria figlia al collegio diretto a Torino da Costanza D'Azeglio, onde poter ottenere il permesso per andarla a trovare, trasportando ad ogni viaggio scritti e documenti proibiti dalla polizia austriaca, che gli valsero il conferimento da parte di Vittorio Emanuele II il conferimento della croce di cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Dopo la Seconda guerra di indipendenza, il 13 giugno 1859 la giunta di governo della città lo nominò Intendente della Provincia, con autorità sul territorio della ex-Legazione pontificia, mentre nell'agosto seguente fu eletto nel IX collegio di Bologna come deputato dell'Assemblea delle Romagne. Retta l'Intendenza di Bologna fino al Plebiscito, venne trasferito in qualità di Regio Intendente Generale (in seguito [[Prefetto_(ordinamento_italiano)|Prefetto) a Modena, poi a metà del 1861 a Chieti, ed infine, dal marzo 1863 a Siena. Nel maggio 1865 venne trasferito alla Prefettura di Ascoli Piceno, che non raggiunse mai per questioni di salute, morendo infatti a Bologna l'11 agosto 1866.