Dreamcast
Il Dreamcast è una console per videogiochi a 32-bit prodotta da SEGA tra il 1998 e il 2001, commercializzata in Giappone a partire dal 27 novembre 1998[4][5], il 9 settembre 1999 in America del Nord e il 14 ottobre 1999 in Europa.[6]
Dreamcast console | |
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Produttore | SEGA |
Tipo | Da tavolo |
Generazione | Sesta |
Presentazione alla stampa | 1998 |
In vendita | 27 novembre 1998 9 settembre 1999 14 ottobre 1999 |
Dismissione | 30 marzo 2001[1] |
Unità vendute | 9,13 milioni[2] |
Gioco più diffuso | Sonic Adventure (2,5 milioni, giugno 2006)[3] |
Predecessore | Sega Saturn |
Caratteristiche tecniche | |
Supporto di memoria | GD-ROM, MIL CD |
Dispositivi di controllo | Dreamcast Gamepad |
CPU | Hitachi SuperH 4 |
RAM totale | 26 MB |
GPU | NEC PowerVR "Videologic CLX2" |
Servizi online | SegaNet (1996–2002); Dreamarena (1999–2003) |
Dreamcast è stata la prima console di sesta generazione, seguita successivamente da PlayStation 2, GameCube e Xbox.[7][8] È stata, inoltre, l'ultima console domestica di SEGA, segnando la fine dei suoi 18 anni di presenza nel mercato dei sistemi console d'intrattenimento casalingo.[9][10]
Contrariamente al costoso e criticato hardware del Sega Saturn, il Dreamcast venne progettato con componenti più omologati per ridurre i costi, tra cui una CPU Hitachi SuperH 4 e una GPU NEC PowerVR. La pubblicazione in Giappone portò a una discreta accoglienza, mentre negli Stati Uniti la console godette di successo supportato da una grande campagna di marketing, ma l'interesse sarebbe poi costantemente diminuito a causa dell'aspettativa generata da Sony intorno a PlayStation 2. Le vendite non soddisfecero le aspettative di SEGA, nonostante diversi tagli dei prezzi, e la società continuò a subire significative perdite finanziarie. Dopo un cambio di leadership, SEGA interruppe la produzione del Dreamcast il 31 marzo 2001, ritirandosi dallo sviluppo di console e ristrutturandosi come sviluppatore e publisher di terze parti. Circa 9,13 milioni di unità Dreamcast vennero vendute in tutto il mondo.[2]
Sebbene Dreamcast ebbe vita breve e un supporto limitato dalle terze parti, la stampa specializzata e gli esperti di settore l'avrebbero considerata, nel tempo, una console avveniristica, innovativa e in anticipo sui tempi.[11][12] La sua libreria contiene molti giochi considerati creativi e innovativi, tra cui Crazy Taxi, Jet Set Radio e Shenmue, oltre a conversioni di alta qualità quali ad esempio quelle provenienti dal sistema arcade Sega NAOMI. Dreamcast fu anche la prima console a includere un modem integrato per il supporto di Internet e il gioco in rete.
Storia
Crisi delle vendite del Sega Saturn
Nonostante l'iniziale successo del Sega Saturn, politiche e strategie di marketing e di vendita fallimentari misero un freno alle vendite delle console SEGA, superate da quelle della PlayStation. Nel mercato statunitense, in particolare, la piattaforma concorrente della SEGA venne immessa sul mercato a un prezzo inferiore rispetto al Saturn.[13] Tra le altre motivazioni che spinsero la console a raccogliere meno favore tra il pubblico rispetto alle rivali PlayStation e Nintendo 64 furono uno scarso numero di titoli, compresa l'iniziale assenza di un videogioco dedicato alla mascotte Sonic the Hedgehog, e la difficoltà da parte di sviluppatori di terze parti di sviluppare giochi per il Saturn a causa della sua complessa architettura.[14]
Sviluppo di una nuova macchina
Per via delle gravi perdite economiche, al fine di minimizzare i costi, si decise di utilizzare componenti off-the-shelf per sviluppare una nuova console che avrebbe dovuto riabilitare la società giapponese.[15] In seguito alla ristrutturazione dell'azienda, si formarono due team di sviluppo che avrebbero prodotto la nuova piattaforma: il primo denominato "Blackbelt"[16] con base statunitense guidato dall'ex-IBM Tatsuo Yamamoto, il secondo sotto la supervisione di Hideki Sato, già creatore del Sega Genesis, con il nome in codice "Dural".[17][18] Il team giapponese guidato da Sato sviluppò il prototipo del Dreamcast, internamente denominata "Katana".[17][19]
Il team di Yamamoto aveva inizialmente optato per un PowerPC 603e dotato di scheda video Voodoo 3, mentre la console progettata da Sato montava un microprocessore Hitachi SuperH 4 a 32 bit.[17] Nonostante quest'ultima montasse un chipset grafico PowerVR meno potente di quello prodotto da 3dfx presente nel prototipo statunitense, la scelta di escludere la società californiana fu dovuta al fatto che nel 1997, all'interno della sua offerta pubblica iniziale, 3dfx dovette pubblicamente rivelare il progetto di SEGA di lanciare una nuova console domestica sul mercato basata su un proprio chipset.[20] Questa decisione portò a una battaglia legale tra 3dfx, SEGA e NEC.[15] La scelta fu criticata anche da Electronic Arts, che aveva azioni della 3dfx, reputando il prodotto di PowerVR inferiore e decidendo di non sviluppare giochi per la nuova piattaforma, nonostante avesse prodotto in passato un grande numero di titoli per Sega Genesis e altre console SEGA precedenti al Dreamcast.[17]
Oltre al supporto delle giapponesi NEC e Hitachi, SEGA ha collaborato con Yamaha per lo sviluppo del GD-ROM. Nonostante la parziale compatibilità con il lettori CD-ROM, il supporto licenziato da SEGA poteva contenere fino a un 1 GB di dati.[6][21] La console era inoltre in grado di leggere MIL CD, un tipo di compact disc ottimizzato per la musica.[22] L'assenza del supporto al formato DVD è stata una scelta dettata dal costo della nuova tecnologia.[15] Per venire incontro alle richieste dei sviluppatori DirectX è stata inoltre resa disponibile una versione di Windows CE per Dreamcast.[15][23] Lo sviluppo di un sistema operativo da parte di Microsoft per la piattaforma SEGA è stato interpretato come un tentativo di entrare nel mercato delle console domestiche.[17]
Lancio sul mercato e vendite
Il Dreamcast venne lanciato nel mercato giapponese il 27 novembre 1998.[24] A causa della penuria di componenti[24], il lancio negli Stati Uniti d'America venne fissato solamente l'anno seguente, nella simbolica data del 9 settembre 1999 al prezzo di 199,99 dollari.[18][25] La console venne distribuita in Europa il 14 ottobre dello stesso anno, con il logo di colore blu, secondo alcuni a causa della somiglianza del marchio originale con il simbolo della compagnia tedesca Tivola.[24][26][27] La creazione del logo e del nome della console sono attribuiti a Kenji Eno.[28]
In Giappone vennero pubblicati solamente quattro titoli al lancio della console (Virtua Fighter 3tb, Godzilla Generations, Pen Pen TriIcelon e July).[29][30] Nel mercato statunitense arrivarono 18 videogiochi di diverso genere: da platform a sparatutto, passando per videogiochi sportivi, inclusi diversi simulatori di guida.[31] L'obiettivo di SEGA era vendere oltre 1 milione di console sul suolo nipponico entro febbraio del 1999, tuttavia il traguardo non venne raggiunto neppure l'anno successivo: al 31 marzo 2000 il numero di Dreamcast vendute nel mercato giapponese era 950 000.[32][33]
Nonostante il discreto entusiasmo con cui fu accolta nel mercato giapponese, negli Stati Uniti il Dreamcast riscosse grande successo con circa 300 000 preordini e oltre 500 000 unità vendute nel giro di due settimane dal lancio, superando il risultato precedente ottenuto da Sony al lancio della PlayStation.[17] Nel novembre 1999 SEGA annunciava di aver raggiunto il traguardo di un milione di Dreamcast vendute nel continente americano e in Europa le vendite avessero raggiunto le 400 000 unità a distanza di un mese dal lancio, sebbene la console rivale dominasse ancora il mercato.[34] Il successo nel primo anno di vita della console è stato attribuito alla pubblicazione di giochi quali Soulcalibur, Sonic Adventure, Power Stone e Hydro Thunder e la presenza di numerosi videogiochi sportivi pubblicati da SEGA.[17][35]
Oltre alla capacità di eseguire una versione adattata di Windows CE, il Dreamcast dispone di un modem integrato a 56 kbit/s (33 kbit/s per la versione PAL).[26] Nonostante la crescita del gioco in rete nel mercato statunitense, la decisione di rendere la piattaforma la prima console online-ready era dovuta alla popolarità di Internet tra gli utilizzatori di personal computer.[17][18] In Giappone Sega distribuì l'Internet Starter Kit comprensivo di mouse e tastiera.[36]
Oltre alla possibilità di connettersi alla rete, uno degli aspetti che differenziavano Dreamcast dalle altre console presenti sul mercato era la Visual Memory Unit (VMU). La VMU era una scheda di memoria da 128 kB dotata di uno schermo LCD che, oltre a permettere la gestione dei salvataggi, poteva essere utilizzato dalla console come display ausiliario o addirittura ospitare interi giochi.[38][39]
Grazie a una diminuzione di prezzo e a problemi nella distribuzione della PlayStation 2, le vendite aumentarono del 156.5% tra il 23 giugno e il 30 settembre del 2000,[40] ma raggiunsero una riduzione in concomitanza delle festività natalizie dello stesso anno, periodo nel quale venne superata dalla concorrente.[1]
Dismissione
Dopo alcune iniziali indiscrezioni,[41][42] il 31 gennaio 2001, SEGA annunciò che la produzione del Dreamcast sarebbe terminata a marzo dello stesso anno, adducendo problematiche per la realizzazione contemporanea di software e hardware.[1][6] Era chiaro dunque che il Dreamcast effettivamente continuò a riscuotere il successo commerciale, che trovò il proprio limite a causa delle gravi perdite finanziarie subite da SEGA, dopo il Saturn sul quale investì buona parte del proprio capitale, e che non potevano essere risanate durante il periodo di concorrenza con Sony[43]. La vita della console avrebbe comunque potuto dilungarsi se solo per il primo trimestre del 2001 avesse superato minimo le 7,5 milioni di unità vendute; sfortunatamente però per quel periodo Dreamcast ne aveva fatte registrare 4,5 milioni.[42] Durante il 2002, SEGA ridusse il prezzo di listino del Dreamcast fino ad arrivare a 99,99 dollari.[44]
Peter Moore, a quel tempo capo della divisione nordamericana della società, diede successivamente testimonianza dell'ultimo periodo vissuto da Dreamcast, affermando: «Furono 18 mesi tremendi. Dreamcast era in ascesa e pensavamo davvero di potercela fare. Ma poi dal Giappone arrivò la conferma di dover guadagnare centinaia di milioni di dollari entro il periodo natalizio e vendere milioni di unità hardware, altrimenti non avremmo potuto sostenere i costi. Quindi, il 31 gennaio 2001, decidemmo che SEGA avrebbe smesso di produrre hardware. Vendevamo 50 000 unità al giorno, poi 60 000, poi ancora 100 000, ma non era sufficiente per resistere all'impatto con il lancio di PlayStation 2. In qualche modo dovetti fare quella chiamata: licenziare un sacco di gente. Non fu un bel giorno».[45]
Videogiochi
I videogiochi usciti per Dreamcast sono oltre 600[46][47], una parte consistente dei quali pubblicata ufficialmente soltanto in Giappone.
Tra i titoli di lancio del Dreamcast figurano Soulcalibur, Sonic Adventure e The House of the Dead 2[31][48].
La rivista The Games Machine, in una selezione di dieci giochi rappresentativi della console, inserisce Sonic Adventure, Shenmue (progetto open world estremamente ambizioso), Soulcalibur (killer application del Dreamcast, uno dei migliori picchiaduro della storia, tecnicamente superiore anche all'originale arcade), Resident Evil: Code Veronica, Skies of Arcadia, Street Fighter III: 3rd Strike, Jet Set Radio (pioniere della tecnica cel-shading), Phantasy Star Online (maggior responsabile della diffusione del gioco online su Dreamcast), Sakura taisen 3 - Pari wa moeteiru ka, Ikaruga[49]. In una classifica della rivista Retro Gamer, oltre a molti dei precedenti vennero nominati Shenmue II, The House of the Dead 2, Rez, Crazy Taxi, Metropolis Street Racer, ChuChu Rocket!, Power Stone 2, Sega Marine Fishing, Samba de Amigo, Marvel vs. Capcom 2, Space Channel 5, Le Mans 24 Hours, Confidential Mission, Virtua Tennis 2, The Typing of the Dead, Dynamite Cop, Toy Commander[50].
Vi sono anche alcuni celebri giochi che originariamente avrebbero dovuto essere pubblicati per Dreamcast, tra cui gli sparatutto in prima persona Half-Life nel 2000[51][52] e System Shock 2 nel 2001;[53] entrambi i progetti furono abbandonati in quanto nel 2001 la console uscì di produzione. Half-Life avrebbe dovuto subire notevoli miglioramenti rispetto alla versione per computer, con un numero maggiore di poligoni, nuove texture e animazioni;[54] mentre di System Shock 2 esiste solo una demo scarsamente ottimizzata.[55]
Eredità videoludica e contributo al settore
Alcune caratteristiche presenti nel Dreamcast sono state riprese dagli altri produttori di console, e considerate come standard. Il modem (incluso con la console) consentiva agli utenti di navigare in rete, di giocare on-line tramite server dedicati e acquistare DLC tramite Dreamarena, precursore di servizi come Xbox Live e PlayStation Network. Per queste ragioni, e altre, Dreamcast è stato posizionato all'8º posto nella lista delle "25 migliori console d'ogni tempo", creata da IGN, precedendo sistemi da gioco come Xbox, PlayStation 3, Sega Saturn, Nintendo 64, GameCube e Wii.[11] Nel 2003 invece, GameSpy, inserì la pubblicazione del Dreamcast e la sua capacità di connettività ed elevata versatilità nella lista "I 25 momenti più brillanti dell'epoca dell'intrattenimento elettronico".[12] Peter Moore, capo della divisione nord-americana di SEGA nel periodo 1998–2002, ha reso omaggio a Dreamcast dichiarando di come le sue funzionalità online abbiano preparato il campo alle esperienze future, tra cui appunto il gioco in rete e cooperativo, e l'aggiunta di nuovi contenuti oltre a quelli presenti nel disco del gioco.[56]
Anche le capacità tecniche del Dreamcast sono state oggetto di attenzione. Grazie all'utilizzo del particolare algoritmo Hidden Surface Removal, la console era in grado di costruire scene complesse ben oltre le sue capacità tecniche.[57] Questa tecnica era affiancata da un sistema di gestione della profondità di campo degli scenari, detta Infinite Planes, più efficace e superiore alle comuni tecniche di z-buffer utilizzate dalle altre console.[58] Inoltre nel 2000, Jason Rubin, uno dei fondatori di Naughty Dog, confermò che dal punto di vista dell'antialiasing la console SEGA era superiore a PlayStation 2.[59] Come affermò la stessa redazione di IGN: «Quello che era stato promesso essere il sistema da gioco più potente al mondo [PlayStation 2], vedeva nel suo catalogo giochi con difetti grafici che non erano nemmeno lontanamente evidenti in sistemi meno potenti, come il Dreamcast».[59] Benchmark grafici importanti raggiunti dalla console non erano rari, tra questi proprio Soulcalibur di Namco, originariamente pubblicato come videogioco arcade: ri-progettato per sfruttare l'hardware di Dreamcast, Namco aumentò la risoluzione del gioco a 640×480 pixels, utilizzando texture di alta qualità e aumentando il rendering grafico di picco fino a 700 000 poligoni al secondo.[60]
Specifiche tecniche
- Unità di elaborazione centrale:[61]
- Unità di elaborazione grafica:[62]
- NEC ASIC PowerVR "Videologic CLX2" @100 MHz[58][60]
- 1 pipeline grafica con 1 unità texel[58]
- Fillrate in pixel da 100 megapixels al secondo[58]
- Fillrate in texel da 100 megatexels al secondo[58][DC 2]
- Antialiasing[60]
- Filtro lineare (bilineare e trilineare)[60]
- Rendering grafico di picco pari a 3~3,5 milioni di poligoni a secco, 2 milioni con la maggior parte degli effetti applicati[60][63]
- Scheda audio:
- Memoria:
- Unità disco:[66]
- GD-ROM da 1 GB[58][60] con velocità di trasmissione a 4,9~14,8 Mbit/s (4–12× CAV)[60][DC 3]
- Tempo di accesso massimo 350~600 ms
- Archiviazione:
- Visual Memory Unit da 128 kB (200 blocchi)[DC 4]
- Comunicazione:
- Uscite audio/video:[65]
Note
- Esplicative
- Fonti
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Bibliografia
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Voci correlate
Altri progetti
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Dreamcast
Collegamenti esterni
- (JA) Sito ufficiale, su dreamcast.com. URL consultato il 14 novembre 2019 (archiviato dall'url originale il 10 marzo 2008).
- (EN) Dreamcast, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Opere riguardanti Dreamcast, su Open Library, Internet Archive.
- (EN) Sega Dreamcast Console Information, su Console Database, Base Media. URL consultato il 14 novembre 2019.
- (EN) Katsumi Kato e Akitoshi Oikawa, Video game machine, 17 agosto 1999. URL consultato il 14 novembre 2019.
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