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La Repubblica (dialogo): differenze tra le versioni

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|titolo = La Repubblica
|titoloorig = {{Polytonic|Πολιτεία}} (Politéia)
|titolialt = Sul giusto
|titoloalfa = Repubblica
|immagine = POxy3679 Parts Plato Republic.jpg
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|seguito =
}}
'''''La Repubblica''''' ({{lang-grc|Πολιτεία|Politéia}}) è un'opera [[filosofia|filosofica]] in forma di [[dialogo]], scritta approssimativamente tra il [[390 a.C.|390380]] e il [[360370 a.C.]] dal filosofo greco [[Platone]], la quale ha avuto enorme influenza nella storia del pensiero occidentale. Il titolo originale dell'opera è la parola [[Lingua greca antica|greca]] {{polytonic|πολιτεία}}. ''La Repubblica'', che è la traduzione tradizionale del titolo, è un po' fuorviante, derivata dal [[Lingua latina|latino]], e in particolare da [[Cicerone]]. Una traduzione più precisa potrebbe essere ''La Costituzione''<ref>Come del resto ammette il ''Vocabolario Greco-Italiano'' di [[Lorenzo Rocci]] (1989, trentaquattresima edizione), alla voce πολιτεία, 3b) ''governo democratico; costituzione dem.; repubblica'', pag. 1526.</ref>. È composta da 10 libri: il primo tratta il tema della giustizia e funge da introduzione per i due libri successivi, in cui Platone espone la sua teoria di "[[Stato ideale]]". Quarto e quinto libro si occupano del rapporto tra cose e idee, tra mondo sensibile e sovrasensibile ([[Iperuranio]]). Sesto e settimo libro descrivono la teoria della conoscenza, ottavo e nono dello Stato e della famiglia e infine il decimo dell'immortalità dell'anima con il [[Mito di Er]].
 
L'opera ruota intorno al tema della [[giustizia]], sebbene il testo contenga anche una moltitudine di altre teorie platoniche, come [[mito della caverna|il mito allegorico della caverna]], la dottrina delle [[idea|idee]], la concezione della filosofia come [[dialettica]], una versione della teoria dell'[[anima]] differente rispetto a quella già trattata nel ''[[Fedone]]'' e il progetto di una [[città ideale]], governata in base a principi filosofici. Quest'ultima è l'esempio più celebre di quelle teorie politiche che col passare dei secoli prenderanno il nome di [[Utopia|utopie]]. Scritta in [[Dialoghi platonici|forma dialogica]], ''La Repubblica'' riguarda ciò che viene detto {{polytonic|φιλοσοφία περὶ τὰ ἀνθρώπινα}} ("filosofia delle cose umane"), e coinvolge argomenti e discipline come l'[[ontologia]], la [[gnoseologia]], la [[filosofia politica]], il [[collettivismo]], il [[sessismo]], l'[[economia]], l'[[giuramento di Ippocrate|etica medica]] e l'[[etica]] in generale.
La ''Repubblica'' è composta da 10 libri: il primo tratta il tema della giustizia e funge da introduzione per i due libri successivi, in cui Platone espone la sua teoria di "[[Stato ideale]]". Quarto e quinto libro si occupano del rapporto tra cose e idee, tra mondo sensibile e sovrasensibile ([[Iperuranio]]). Sesto e settimo libro descrivono la teoria della conoscenza, ottavo e nono dello Stato e della famiglia ed infine il decimo dell'immortalità dell'anima con il [[Mito di Er]].
 
''La Repubblica'' si presenta come un'opera organica, enciclopedica e circolare, concernente, più in generale, il rapporto tra universale e particolare. L'opera è strutturata in dieci libri e ha per protagonista [[Socrate]], ma un Socrate che, come molti studiosi hanno ben visto, è decisamente diverso da quello degli altri dialoghi, e che in più punti va modificandosi, a poco a poco, in un processo di ''[[Catabasi|katábasis]]'', indicato nella frase iniziale del dialogo: «Ieri scesi al Pireo...Pireo…».<ref>M. Vegetti, ''Introduzione'' a Platone, ''La Repubblica'', BUR, Milano 2007, pp. 39-42.</ref> Questo processo di purificazione porta Socrate ad abbracciare a poco a poco delle tesi che non sono sue, bensì appaiono di natura piuttosto platonica, e legate soprattutto al momento storico che Platone viveva dopo la [[guerra del Peloponneso]]: la presa della città ad opera di [[Crizia]], il quale instaurò il governo dei [[Trenta Tiranni]], la caduta del governo oligarchico, la restaurazione della democrazia ateniese, e nel 399 a. C. il processo e la condanna a morte del maestro Socrate.<ref>M. Vegetti, ''Introduzione'' a Platone, ''La Repubblica'', BUR, Milano 2007, pp. 12-13.</ref> Vediamo quindi il vecchio filosofo esporre teorie che vanno dalla parità dei sessi, alla condivisione delle proprietà private, alla scomparsa della [[famiglia]], e all'obbligo, per coloro che fossero destinati a essere i ''phylakes'' ("guardiani") a non avere nessun guadagno dal loro lavoro ed essere mantenuti a spese dei cittadini.
L'opera ruota intorno al tema della [[giustizia]], sebbene il testo contenga anche una moltitudine di altre teorie platoniche, come [[mito della caverna|il mito allegorico della caverna]], la dottrina delle [[idea|idee]], la concezione della filosofia come [[dialettica]], una versione della teoria dell'[[anima]] differente rispetto a quella già trattata nel ''[[Fedone]]'' e il progetto di una [[città ideale]], governata in base a principi filosofici. Quest'ultima è l'esempio più celebre di quelle teorie politiche che col passare dei secoli prenderanno il nome di [[Utopia|utopie]]. Scritta in [[Dialoghi platonici|forma dialogica]], ''La Repubblica'' riguarda ciò che viene detto {{polytonic|φιλοσοφία περὶ τὰ ἀνθρώπινα}} ("filosofia delle cose umane"), e coinvolge argomenti e discipline come l'[[ontologia]], la [[gnoseologia]], la [[filosofia politica]], il [[collettivismo]], il [[sessismo]], l'[[economia]], l'[[giuramento di Ippocrate|etica medica]] e l'[[etica]] in generale.
 
''La Repubblica'' si presenta come un'opera organica, enciclopedica e circolare, concernente, più in generale, il rapporto tra universale e particolare. L'opera è strutturata in dieci libri e ha per protagonista [[Socrate]], ma un Socrate che, come molti studiosi hanno ben visto, è decisamente diverso da quello degli altri dialoghi, e che in più punti va modificandosi, a poco a poco, in un processo di ''[[Catabasi|katábasis]]'', indicato nella frase iniziale del dialogo: «Ieri scesi al Pireo...».<ref>M. Vegetti, ''Introduzione'' a Platone, ''La Repubblica'', BUR, Milano 2007, pp. 39-42.</ref> Questo processo di purificazione porta Socrate ad abbracciare a poco a poco delle tesi che non sono sue, bensì appaiono di natura piuttosto platonica, e legate soprattutto al momento storico che Platone viveva dopo la [[guerra del Peloponneso]]: la presa della città ad opera di [[Crizia]], il quale instaurò il governo dei [[Trenta Tiranni]], e la condanna a morte del maestro Socrate.<ref>M. Vegetti, ''Introduzione'' a Platone, ''La Repubblica'', BUR, Milano 2007, pp. 12-13.</ref> Vediamo quindi il vecchio filosofo esporre teorie che vanno dalla parità dei sessi, alla condivisione delle proprietà private, alla scomparsa della [[famiglia]], e all'obbligo, per coloro che fossero destinati a essere i ''phylakes'' ("guardiani") a non avere nessun guadagno dal loro lavoro ed essere mantenuti a spese dei cittadini.
 
Il titolo originale dell'opera è la parola [[Lingua greca antica|greca]] {{polytonic|πολιτεία}}. ''La Repubblica'', che è la traduzione tradizionale del titolo, è un po' fuorviante, derivata dal [[Lingua latina|latino]], e in particolare da [[Cicerone]]. Una traduzione più precisa potrebbe essere ''La Costituzione''<ref>Come del resto ammette il ''Vocabolario Greco-Italiano'' di [[Lorenzo Rocci]] (1989, trentaquattresima edizione), alla voce πολιτεία, 3b) ''governo democratico; costituzione dem.; repubblica'', pag. 1526.</ref>.
 
== Personaggi ==
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[[File:Sanzio 01 Plato Aristotle.jpg|thumb|Particolare della ''[[Scuola di Atene]]'' di [[Raffaello]], con [[Platone]] e [[Aristotele]]]]
 
*'''Libro I''': Socrate giunge in casa di Cefalo, dopo aver assistito alle feste Bendidie di [[Atene]]. Cefalo si dimostra felice per essere riuscito a recuperare i beni perduti dal padre, offrendo il proprio modello di felicità e giustizia. Polemarco, unfiglio allievodi Cefalo, dice la sua sulla giustizia, ossia fare il bene per gliagli amici e il male per iai nemici. Infine parla l'irruente Trasimaco, sostenendo che la giustizia è l'utile di chi è più forte. Socrate interviene una prima volta, dicendo che se i più forti al potere fossero tiranni, potrebbero fare il male di tutti. Socrate lo contraddice ancora, arrivando alla conclusione che l'ingiustizia vuole predominare sia sull'ingiusto che sul giusto, perché molto facilmente con l'ingiustizia si ha il controllo. La giustizia allora sarebbe qualcosa all'infuori delle umane capacità. Infatti la giustizia è virtù dell'anima, come dice Socrate, al contrario di Trasimaco, che vede l'ingiustizia una virtù.
*'''Libro II''': Intervento di Glaucone su tre categorietipologie di beni: i finibeni adesiderabili lorosolo stessiper sè, quellii chebeni possonodesiderabili dareper anche vantaggi,e per gli effetti che procurano e infinei quellibeni legatiapprezzabili asolo questiper i loro ultimieffetti. Anche per Glaucone la giustizia dell'uomo consiste nel trarre vantaggi propri, anche se Socrate sostiene che il vero bene sarebbe la perpetuazione della seconda categoria. Per Glaucone insomma c'è il timore di una ingiustizia impunita, e che dunque necessiti la forza del potere. Visto che la vera giustizia per l'uomo comune sarebbe una "ingiustizia mascherata", per mantenere l'equilibrio cittadino, Socrate allora propone l'analisi della giustizia in una "Città Ideale", partendo dalle origini, dal nucleo primitivo.
 
La città è un semplice villaggio di contadini con precisi compiti, poi si amplia, e necessita un corpo di guardia, e successivamente una coscienza del popolo, che consiste nell'educazione e nello studio del sapere. Socrate dunque espone i vari compiti di ogni cittadino, dalle guardie allo studio della conoscenza.
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Di seguito prosegue con l'elevazione dell'attività filosofica, di estrema importanza per la politica. Il filosofo deve praticare la ricerca ossessiva della verità, e dunque per amore di conoscenza, non è portato a compiere correzioni e danni, dunque il miglior rappresentante di politica per la città ideale.
*'''Libro VI''': Il filosofo è il solo conoscitore della verità, dunque ancora più portato a governare saggiamente. Socrate traccia uno spaccato della multiforme politica greca, composta da [[aristocrazia]], [[oligarchia]] e [[democrazia]]. Necessita che il filosofo puro comandi, poiché ogni forma di governo dell'uomo, da un inizio positivo, cade nella corruzione. Tali governi inoltre hanno sempre disprezzato il filosofo, ponendo il volgo ignorante ada odiarlo e sbeffeggiarlo, preferendo la schiavitù. Tali principi sono esposti da Socrate nell'"allegoria della nave", in cui il nocchiero è un vecchio cieco, saggio, e il timone è costantemente conteso tra gli uomini di bordo che vogliono governare.
 
Socrate descrive l'idea di [[Bene (filosofia)|Bene]]: è come un [[sole]] che nella sua perfezione illumina di saggezza; successivamente traccia [[Teoria della linea|una linea]] in quattro segmenti: immagini sensibili, oggetti sensibili, enti matematici e Idee, conoscibili attraverso, rispettivamente, l'immaginazione (εἰκασία), la credenza (πίστις), la ragione discorsiva (διάνοια) e l'intellezione (νόησις).
 
*'''Libro VII''': Socrate traccia il "[[mito della caverna]]", per fare capire la profondità oscurantista di ignoranza in cui l'uomo si trova, da dove deve riuscire a liberarsi per trovare la vera "luce" di sapienza. Dopo la presa di coscienza dell'esistenza di un altro mondo migliore e veritiero, Socrate prescrive per l'individuo lo studio delle principali arti, ossia la matematica, la geometria e la dialettica.
*'''Libro VIII''': Passo indietro di Socrate, ossia l'analisi più approfondita della felicità del Giusto e ldell'Ingiusto. Socrate forniscetratta ledelle principali forme di governo, come appunto aristocrazia (che Platone predilige), oligarchia e democrazia.<ref name="CasiLimiti">{{Cita pubblicazione|nome=Chiara|cognome=Casi|titolo="I limiti della Libertà autentica"|rivista=“I limiti della Libertà autentica” Analisi critica filosofico-giuridica del brano “La Libertà” tratto dal Libro VIII de “La Repubblica”|lingua=en|accesso=2019-10-27|url=https://www.academia.edu/40746219/_I_limiti_della_Libert%C3%A0_autentica_|dataarchivio=26 ottobre 2019|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20191026194908/https://www.academia.edu/40746219/_I_limiti_della_Libert%C3%A0_autentica_|urlmorto=sì}}</ref>, che, da un iniziobuon buonoinizio, col tempo si corrompono e sconfinano nelle forme peggiori di governo, come tiranniatimocrazia, oclocraziaoligarchia, demagogia e via dicendotirannide. ProprioA percausa questodel "[[Numero di Platone|numero nuziale]]", che si ripete a causa dell'impulsività dell'animo umano e delle sue corruttele, necessitaè necessario l'intervento del filosofo.
*'''Libro IX''': Socrate si sofferma sulla forma peggiore delledi politichegoverno, la [[tirannide]], da contrapporre al buon governo filosofico. Il tiranno, benché abbia il controllo mediante la paura, è lui stesso schiavo delle proprie passioni. Passando allo stato ideale, Socrate elenca i giusti piaceri del filosofo, ossia quelli razionali, superiori alle tredue parti irrazionali dell'anima. Successivamente Socrate passa all'esame metafisico dei piaceri, calcolando in 729 anni la separazione tra il filosofo governante e il tiranno, poi alla ripartizione dell'anima in un mostro policefalo, un leone e infine un uomo. L'uomo grazie al leone domina il mostro, garantendo la giustizia.
*'''Libro X''': La discussione riguarda la poesia e l'imitazione. Chi imita non ha scienza retta di ciò che esegue;, invececome il poeta che imita gli oggetti sensibili. L'arte, insommadunque, genera per Socrate un'illusione nell'anima, rivolgendosifacendo alleleva sulle passioni nascoste,; facendoin unciò esempio dimostra disprezzo verso la commozione che scaturisce dalla [[tragedia greca]]. DunquePerciò necessitaè necessario il bando dalla città ideale il bando per [[Omero]] e gli altri poeti. Terminando il discorso, in contrapposizione ai miti poetici dellerelativi alle ricompense dopo la morte, Socrate spiegaespone il "[[mito di Er]]", volendodopo mostrareaver lribadito la dimostrazione dell'immortalità dello spiritodell'anima. La purezza dell'anima, infatti, si può contemplareottenere solo dopo che si è staccataaffrancata dalle limitazioni del corpo umano., Terminameritevole ladunque adel rassegnapremio finale dei premi concessiconcesso dopo la morte, ossia illa giudiziovita eeterna lanella [[reincarnazione]]contemplazione della verità.
 
== I temi della ''Repubblica'' ==
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Dopo una breve discussione sul rapporto tra [[giustizia]] e vecchiaia, l'attenzione dei partecipanti si sposta sulla [[giustizia]] in sé:<ref>''Repubblica'' 331d.</ref> ci si domanda se questa sia più o meno conveniente rispetto all'ingiustizia. La prima definizione di giustizia, proposta da Polemarco, è attribuita a [[Simonide]]: "Rendere a ciascuno il dovuto (τὰ ὀφειλόμενα)". Equiparando questa definizione alla seguente: "Giusto è beneficare gli amici e danneggiare i nemici.",<ref>''Repubblica'' 331c-e. Di questo parere era anche [[Menone]] in ''[[Menone (dialogo)|Menone]]'' 71e.</ref> Socrate inizia la confutazione di tale opinione facendo notare che, se si accetta ciò, ne deriva che la giustizia può essere utile in tempo di guerra, ma non in tempo di pace, poiché essa sarebbe "inutile per l'uso di ciascuna cosa, e utile invece quando non se ne fa uso": a essa sarebbe infatti preferibile, volta per volta, l'arte "specifica" per la situazione.
 
La confutazione prosegue su altre linee: l'uomo giusto, essendo il miglior custode di denaro, sarà anche il miglior ladro (secondo il principio, esagerato per l'occasione, per cui "chi è molto abile nell'attaccare lo è anche nel difendersi"); e ancora (questa è la linea di attacco più forte), danneggiare qualcuno non può condurre che a un suo peggioramento, nel campo relativamente cui egli è danneggiato: ma la giustizia non può rendere più ingiusti, così come la musica non può rendere musicalmente ignoranti.<ref>''Repubblica'' 335d-e.</ref> La definizione di cui sopra è pertanto confutata.
 
==== Trasimaco: la giustizia è l'utile del più forte ====
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Il nuovo attacco di Socrate verte sul fatto che ogni arte opera l'interesse di ciò per cui essa esiste (per esempio, l'[[ippica]] fa l'interesse dei cavalli, la [[medicina]] fa l'interesse del corpo...), e che è ad essa subordinato (questa asserzione però non viene giustificata); da ciò, Socrate deriva che ogni arte fa l'interesse del "più debole", non del più forte, come sostiene Trasimaco.
 
Ma Trasimaco non si dà per vinto: per prima cosa, egli sostiene, chi giova ai propri sottoposti lo fa solo per tornaconto personale. In secondo luogo (e questa è la tesi più forte ede interessante) la giustizia non è affatto più forte dell'ingiustizia, bensì il contrario. La prima, infatti, è l'utile del più forte, e pertanto non fornisce alcun vantaggio ai deboli; la seconda, invece, consente di avere la meglio in ogni accordo privato e pubblico, di guadagnare denaro e reputazione e persino di instaurarsi al potere con un colpo di Stato: il tiranno, cultore della "somma ingiustizia", è appunto sommamente felice e ricco, così come l<nowiki>'</nowiki>''ingiustizia'', e non la giustizia, è utile e vantaggiosa di per se stessa<ref>''Repubblica'' 343b-344c.</ref>.
 
==== La confutazione socratica di Trasimaco ====
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Socrate inizia a delineare la nascita di una polis: inizialmente si tratterà di un piccolo villaggio abitato da contadini e artigiani, riunitisi per sostenersi l'un l'altro, i quali vivono dei frutti del lavoro, vestono semplicemente e consumano pasti frugali<ref>''Repubblica'' 369b-372d.</ref>; in seguito però, su richiesta di Glaucone, la piccola polis si allarga, introducendovi ricchezze, lussi e nuove figure di lavoratori, come mercanti e artigiani di beni di lusso, cuochi, allevatori e soldati<ref>''Repubblica'' 372e-375a.</ref>. Socrate mostra come, nell'evoluzione che porta dalla prima polis alla seconda, ci sia una progressiva degenerazione fisica e morale. A questo punto, si affaccia l'idea di uno Stato ideale e perfetto.
 
Nello Stato ideale proposto da Socrate si impone al cittadino di fare il solo mestiere che gli è stato attribuito direttamente dallo Stato. La divisione del lavoro è infatti alla base della creazione di una comunità di cittadini, i quali non sono in grado di sopperire da sé ada ogni esigenza, ma sono costretti a collaborare e dividersi i compiti: per questo motivo, ognuno dovrà specializzarsi in una ''techne'' ed eseguire solo quella<ref>''Repubblica'' 369e.</ref><ref>[[Giuseppe Cambiano|G. Cambiano]], ''Platone e le tecniche'', Laterza, Bari 1991.</ref>. Inoltre, Socrate tiene a precisare che oltre agli artigiani specializzati dovranno esservi anche soldati addestrati esclusivamente all'arte della guerra, la quale è una ''techne'' al pari delle altre. Egli divide quindi i cittadini in tre classi-funzione: gli artigiani, classe più bassa con l'obiettivo di lavorare e procurare i beni materiali, i guardiani ({{polytonic|φύλακες}}, ''phýlakes''), che invece dovranno proteggere lo Stato, ede infine i governanti o filosofi ({{polytonic|ἄρχοντες}}, ''árchontes''), gli unici in grado di poter governare lo Stato con morigerata saggezza.
 
Queste classi-funzione sono dinamiche, e non attribuite alla nascita: durante l'educazione selettiva viene determinato che cosa l'individuo sia più adatto a fare poiché, come Socrate spiega nel mito delle stirpi, ognuno possiede un'indole che indirizza l'individuo ada uno solo dei tre percorsi.
 
==== L'educazione dei cittadini ====
Il modello educativo di Platone (''[[paideia]]'') si basa sulla selezione per tappe: il giovane è sottoposto ada una prima educazione da parte dello Stato comprendente la [[ginnastica]] e l'educazione al combattimento (ossia l'esercizio del corpo), e la [[musica]], che rappresenta l'amore per il bello (ossia l'esercizio dello spirito); se l'educando si dimostra all'altezza, egli viene privilegiato ede educato alla [[matematica]], col fine di diventare stratega, e all'[[astronomia]], disciplina solo teorica il cui fine è elevare l'animo. Infine, tra i migliori vengono scelti coloro che, per diventare buoni governanti, intraprenderanno lo studio della [[filosofia]] e della [[dialettica]], la massima scienza. A questo proposito, Socrate tratta anche il tema della [[gnoseologia|conoscenza]], spiegando che ne esistono tre tipologie: l'ignoranza, che è mancanza di conoscenza, la scienza, che è conoscenza di ciò che è ({{polytonic|τὸ ὄν}}), e l'opinione, che è conoscenza insieme di ciò che è e di ciò che non è, cioè del ''divenire'' ({{polytonic|τὸ γενέσθαι}})<ref>Al problema dell'educazione è dedicata la parte finale del ''Libro II'' (da 376e), fino alla fine del ''Libro III'', e comprende anche una critica dell'arte.</ref>.
 
==== L'organizzazione interna della ''Kallipolis'' ====
Oggetto fondamentale degli interrogativi proposti dalla ''Repubblica'' è, dunque, la natura della giustizia; il motore del dialogo è la domanda: «Che cos'è la giustizia? (Τί ἐστι ἡ δικαιοσύνη;)». Il punto di partenza e quello d'arrivo sono dati dalle domande: «Come conciliare il sapere con l'esercizio della giustizia?», «Come tradurre in ordinamento che coinvolge tutti i membri della comunità?», «Quanto un uomo può razionalmente conoscere?», e infine: «È possibile trovare con la ragione un ordinamento che sia razionale, ma di una razionalità che contempli l'effettiva giustizia?».
 
Partendo da questi temi, Platone, tramite le parole di Socrate, costruisce uno Stato ideale dove vige una giustizia teoricamente perfetta, definita ''Kallipolis''. La città deve essere pensata in rapporto alla tripartizione dell'anima del singolo uomo<ref>Per la tripartizione dell'anima nella ''Repubblica'', vedi in particolare 439a-441c.</ref>, e quindi essere ripartita in tre classi sociali<ref>Vedi anche un'analisi in [http://www.filosofico.net/repub.html filosofico.net].</ref>: aurea (governanti-filosofi), argentea (guerrieri), bronzea (lavoratori).
 
* Classe dei lavoratori (popolo)
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Questa divisione non è però operata dagli stessi uomini, bensì dalla natura, una forza superiore all'uomo, che rende lo stesso cittadino tale fin dalla nascita: non esiste un individuo [[apolide]]. Lo Stato ha un'origine naturale: si tratta di una teoria che si differenzia da quelle moderne, propense a pensare lo Stato come oggetto di un contratto preciso.
 
=== ''Libri IV-V'': l'[[armonia]] delle parti ===
Dopo aver svolto un confronto tra le varie tipologie di governo e accertato che quella teorizzata fino ada ora sia la migliore, Socrate definisce le virtù che lo stato deve possedere: la [[Sapienza (filosofia)|sapienza]], propria dei governanti, che rende capaci di reggere lo [[stato]]; il coraggio, proprio dei guardiani, utile per salvaguardare i propri membri dalle cose temibili e dalla natura; la temperanza, cioè il contenimento dei piaceri e degli appetiti; infine, la [[giustizia]], definita come ordine e armonia tra le varie parti dello stato.
 
Nel libro IV viene chiesto a Socrate come il guardiano possa nel tempo libero dal suo compito trovare la felicità essendo costretto ada adempiere sempre ai suoi doveri. Socrate risponde che la felicità per il guardiano consiste proprio nell'assolvere al suo dovere poiché egli è stato generato proprio per questo particolare ruolo: garantire la perpetuazione della giustizia.
 
Trovata la giustizia nello stato giusto, viene ricercata nell'uomo giusto: l'[[anima]] è divisa in [[logica|razionale]], irascibile e concupiscibile e la giustizia esiste solo quando le tre parti sono in armonia tra di loro. [[Socrate]] arriva allora alla conclusione che il [[tiranno]] è l'uomo più infelice, al contrario di ciò che pensavano inizialmente i suoi amici; infatti, egli è ingiusto e vive nel terrore, ma soprattutto è solo, non ha amici ed è circondato da persone corrotte e malvagie. Oltre a questi temi, nel libro V Socrate traccia il quadro della famiglia della città ideale, sembrando mostrare una particolare [[misoginia]] per il ruolo femminile nell'ambito della famiglia.
 
In realtà Socrate sostiene che la differenza fra i due sessi non è nel genere ma solo nella debolezza naturale della donna di condurre certe attività con la stessa intensità a confronto dell'uomo:
{{citazione|...non c'è quindi nessuna attività di coloro che amministrano la città che sia della donna in quanto donna, né dell'uomo in quanto uomo, ma le nature sono disseminate in ambedue gli animali, e di tutte le attività partecipa la donna secondo natura, e di tutte del pari l'uomo; solo che la donna è più debole dell'uomo.|''La Repubblica'', 455d}}
ma questo non vuol dire che non possano esserci donne in grado di ascendere ai più alti gradi della Repubblica.
 
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[[File:Plato's allegory of the cave.jpg|thumb|left|Allegoria della caverna: gli uomini attraverso i sensi non conoscono la realtà, ma solo la sua ombra.]]
 
Data la complessità del tema, per chiarire ulteriormente il pensiero platonico riguardo alla conoscenza, all'inizio del ''Libro VII'' viene fatto ricorso ada un [[mito]]: all'interno di una [[caverna]] stanno, incatenati sin dalla nascita, alcuni uomini, incapaci di vederne l'entrata; alle loro spalle arde un fuoco e, tra il fuoco e l'entrata della caverna, passa una strada con un muretto che funge da schermo; per la strada passano diversi uomini, portando sulle spalle vari oggetti i quali proiettano le loro ombre sul fondo della caverna. Per i prigionieri le ombre che vedono sono la realtà. Ma se uno di essi fosse liberato e costretto a voltarsi e ada uscire dalla caverna, inizialmente sarebbe abbagliato dalla luce e proverebbe dolore; tuttavia, a poco a poco ci si abituerebbe, potrebbe vedere i riflessi delle acque, poi gli oggetti reali, gli astri ede infine il sole. Tornando nella caverna dovrebbe riabituare gli occhi all'oscurità e sarebbe deriso dai compagni qualora provasse a raccontare ciò che ha visto<ref>''Repubblica'' 514a-520a.</ref>.
 
Con questo mito Platone spiega la sua dottrina delle idee, secondo cui la realtà sensibile è paragonabile alle ombre che i prigionieri vedono sul fondo della caverna, mentre esiste in qualche luogo fuori dal tempo e dallo spazio il "reale", che altro non è che "l'idea" ({{polytonic|εἶδος}}). In questo mito, viene inoltre descritto il processo conoscitivo come un'ascesa abbastanza difficile e comunque graduale, secondo i gradi descritti nella metafora della linea: prima l'opinione, identificata nelle ombre sfocate, poi gli oggetti che fanno parte del [[mondo]] sensibile, poi i riflessi, identificabili con la matematica, fino ad arrivare alla conoscenza dell'idea del Bene che illumina tutte le altre (nel mito, è il [[sole]]).
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Come il sole, quindi, illumina gli oggetti e li rende visibili alla vista, così dal Bene si irradiano verità (ἀλήθεια) e scienza (ἐπιστήμη). Il Bene occupa un piano di dignità superiore rispetto alle idee, le quali traggono da esso un fondamento in termini [[Assiologia|assiologici]], [[Gnoseologia|gnoseologici]] e [[Ontologia|ontologici]]. Il Bene, origine della ''epistéme'', è esso stesso conoscibile dopo una lunga ricerca, ma&nbsp;– curiosamente&nbsp;– di esso Socrate non dà alcuna definizione. Il Bene è quindi indefinibile (se non appunto attraverso un'immagine, quella del sole), e la scienza del Bene non è una scienza tra le altre, ma è la scienza prima necessaria non solo a chi deve governare uno Stato, ma a chiunque si debba occupare di una scienza specifica, poiché è la scienza della verità, che accomuna e fonda tutte le altre scienze<ref>F. Adorno, ''Introduzione a Platone'', Laterza, Bari 1997, pp. 93-95.</ref>.
 
La questione diventa più complessa quando si tratta di definire la collocazione del Bene, riguardo alla quale il dibattodibattito è ancora aperto. Lo storico [[Giovanni Reale]], e in generale la [[Scuola di Tubinga-Milano]], riconoscono in queste pagine della ''Repubblica'' una serie di allusioni e riferimenti impliciti alle dottrine orali, che permetterebbe di identificare il Bene con l'Uno. Il Bene/Uno si contrappone alla molteplicità, ponendosi su un piano superiore dell'essere in quanto causa e fondamento dell'essere stesso<ref>G. Reale, ''Platone. Alla ricerca della sapienza segreta'', BUR, Milano 1998, pp. 201-202. Per approfondire la questione delle dottrine non scritte di Platone, si veda la voce [[Platone#Le dottrine non scritte: l'Uno e la Diade|Platone]].</ref>. Di diverso avviso è però [[Mario Vegetti]], che nell'edizione da lui curata della ''Repubblica'' afferma che il Bene non può trascendere il piano delle idee, in quanto è esso stesso un'idea; esso occuperebbe tuttavia all'interno del piano dell'essere una posizione eccezionale ed eccedente, e la sua superiorità non sarebbe ontologica, bensì solo assiologica<ref>M. Vegetti, ''La Repubblica'', BUR, Milano 2007, pp. 165-167.</ref>. È bene tuttavia ricordare ancora una volta che la questione è oggetto di dibattito.
 
=== ''Libri VIII-IX'': la famiglia e lo Stato ===
L'uomo ha molti bisogni e da solo non è sicuramente in grado di soddisfarli<ref name="CasiLimiti" />; Platone non pensa dunque all'[[eremita]], autosufficiente e solitario, ma ada una comunità che rende possibile la vita del singolo individuo. In questoquesta parte del dialogo, Platone spiega, inoltre, comecritica la societàdemocrazia funzionerebbedel meglio se ogni individuo facesse ciò che meglio sa fare.suo Cosìtempo, chiin è adatto a farequanto il falegnamesuo faràesito ilinevitabile falegname,è chila ha talento nell'architettura farà l'architetto[[demagogia]]. Perché ciò avvenga, Platone dice che è necessario estinguereGià la ricchezzaoligarchia ecorrompe la povertà,società poichécon chil'importanza èsmodata riccodata nonal lavoradenaro, chi è povero fa ciòil che piùproduce gliun rende;effetto ènefasto inoltresoprattutto necessariosui abolire la vita familiare, dato che solitamente accade che il figlio del calzolaio finisca per fare il calzolaio, quindi non deve esistere la "tradizione di famiglia".
giovani. Questi, approfittando di ogni occasione per ostentare la propria ricchezza ai poveri, provocano l'invidia sociale. Prendendo quest'ultimi il potere, viene proclamata l'uguaglianza dei cittadini, sia degli eguali che dei diseguali, distribuendo a sorte gli incarichi politici. Nello stato trionfa la "libertà", ma questa, in realtà, non è altro che licenza, mancando di ogni ancoraggio ai valori etici. Allora viene meno la certezza del diritto, e, per fare carriera in ambito politico, è sufficiente proclamarsi "un amico del popolo”. Il rispetto per gli anziani viene considerato scempiaggine, la temperanza è vista come un'assenza di virilità. Per contro, la prepotenza viene considerata la vera buona educazione, l’anarchia è giudicata vera libertà, l'impudenza coraggio. La tirannide, infine, viene vista come l'esito inevitabile della degenerazione democratica (VIII, 560c).
 
Oltre all'educazione dei giovani, Platone spiega che i governanti devono vivere in perfetta comunione dei beni: non devono avere proprietà privata, né figli, in questo modo i governanti saranno interessati solamente al bene dello stato. Questi ultimi, una volta strappati alle proprie famiglienati, verranno educati dallo stato finin dallastrutture nascitaapposite. Quanto alle moglidonne, tutte le donneesse saranno in comune – come, del resto, anche gli uomini – e premierannoverranno istabiliti piùgli fortiaccoppiamenti cosìdagli dastessi averemagistrati stirpi sempreseppur migliori;con inla questofinzione mododi iun governantisorteggio saranno interessatiaffinché solamentevengano algenerate benestirpi dellosempre statomigliori.
 
Particolarmente interessante è la posizione della [[donna]] nello stato ideale: questa viene considerata quasi al pari dell'[[uomo]]; anche se fisicamente più debole, anch'essa può prendere parte ai combattimenti e alle attività di governo.
 
=== L'arte come imitazione dell'imitazione ===
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=== ''Libro X'': il mito di Er ===
{{vedi anche|Mito di Er}}
Alla fine dell'opera si trova il [[mito di Er]]<ref>Platone, ''Repubblica'', libro X.</ref>. Attraverso di esso, Platone intende argomentare intornoa alfavore concetto didell'immortalità dell'[[anima]] e a quello di [[metempsicosi]], oltre che mostrare come nella vita dell'uomo coesistano il caso, la libertà e la necessità.
 
Nel mito Er, un soldato morto in battaglia che ha l'avventura di resuscitare, racconta che nell'al di là[[Oltretomba|aldilà]] le anime vengono a [[caso (filosofia)|caso]] sorteggiate per scegliere train quali vitecorpi reincarnarsi. Chi è stato sorteggiato tra i primi è sì avvantaggiato, perché ha una scelta maggiore, ma anche chi sceglie per ultimo ha molte possibilità di libera scelta perché il numero dei paradigmi di vita possibili offerto è più grande di quello delle anime e poi non è detto che la possibilità di scelta sia determinante, poiché ciò che importa è che si scelga bene.
 
Quindi il caso non assicura una scelta felice mentre determinanti potranno essere i trascorsi dell'ultima reincarnazione. Scegliere, nella visione platonica, significa infatti essere coscienti criticamente del proprio passato per non commettere più errori e avere una vita migliore.
 
Le [[Moire]] renderanno poi la scelta della nuova vita immodificabile, nessuna anima, una volta operata la scelta potrà cambiarla e la sua vita terrena sarà segnata dalla necessità.
 
Le anime si disseteranno con le acque del fiume [[Lete (fiume dell'oblio)|Lete]], ma quelle che lo hanno fatto in maniera smodata dimenticheranno la vita precedente, mentre i filosofi, che guidati dalla ragione, non hanno bevuto, manterranno il ricordo, solo un po' attenuato, del mondo delle idee, alle quali, durante la nuova vita, potranno riferirsi per ampliare la loro conoscenza e vivere serenamente.
 
== Letture moderne ==
Molti, da Marx a Rousseau, hanno visto in quest'opera di Platone un primo abbozzo di [[socialismo]]<ref>Prefazione di Piergiorgio Sensi, ''Platone'', Armando Editore, 2007 p.38 e sgg.</ref>, sottolineando gli aspetti [[comunità|comunitari]] ede anti-individualisticiantiindividualistici, leggibili nel celebre concetto di bene collettivo e nell'idea della comunanza dei beni e delle donne.
 
Ha avuto il suo spazio anche una lettura da parte di Popper, il quale ha intravisto nello stato ideale del filosofo greco il prototipo del moderno stato autoritario con la struttura [[gerarchia|gerarchica]] della società, il culto dei capi, e la [[eugenetica|purezza del sangue, la sanità della [[razza]].
 
Ma non si deve assolutamente dimenticare la continua insistenza nelle varie opere platoniche sulla condanna della tirannia. Per di più, proprio nel X libro de ''La Repubblica'' Platone dice esplicitamente che solo ai tiranni è riservata la dannazione eterna, loro non potranno più re-incarnarsi.
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* [[Mario Vegetti|M. Vegetti]], ''Guida alla lettura della'' Repubblica ''di Platone'', Laterza, Bari 1999.
* M. Vegetti, ''«Un paradigma in cielo». Platone politico da Aristotele al Novecento'', Carocci, Roma 2009.
* G. Muscato, ''Il fondamento sacro della politica'', Associazione Filosofica Paideia, Palermo, 2023.
 
== Voci correlate ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|url=http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3atext%3a1999.01.0167|titolo=Il testo greco presso il Perseus Project}}
* [http://www.filosofico.net/repub.html Introduzione a ''La Repubblica''] (''Filosofico.net'')
* {{SEP |plato-ethics-politics|Plato’s Ethics and Politics in The Republic|Eric Brown}}
* [{{cita web|url=http://www.filosofico.net/repub.html|titolo= Introduzione a ''La Repubblica''] (''Filosofico.net'')}}
* {{cita web |url=http://www.filosofico.net/popper5.htm |titolo=K.R. Popper contro Platone}}
* {{cita web | 1 = http://www.donatoromano.it/interviste/54.htm | 2 = Intervista a Margherita Isnardi Parente sul Platone politico | accesso = 2 marzo 2011 | urlarchivio = https://web.archive.org/web/20120902064057/http://www.donatoromano.it/interviste/54.htm | dataarchivio = 2 settembre 2012 | urlmorto = sì }}
* {{cita web|url=http://www.conoscenza.rai.it/site/it-IT/?ContentID=850&Guid=d0e858c408994cdb8db858e320e6bece|titolo=Intervista a Mario Vegetti sul pensiero politico di Platone}}
* {{cita testo |url=http://enricopantalone.com/AnimaPlatoneRepubblica.pdf |titolo=La dottrina dell'anima ne “La Repubblica” di Platone |editore=articolo di Giovanni Costa}}
* {{cita web |url=http://www.filosofico.net/popper5.htm |titolo=K.R. Popper contro Platone}}
 
{{Dialoghi platonici}}