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La Repubblica (dialogo): differenze tra le versioni

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[[File:Sanzio 01 Plato Aristotle.jpg|thumb|Particolare della ''[[Scuola di Atene]]'' di [[Raffaello]], con [[Platone]] e [[Aristotele]]]]
 
*'''Libro I''': Socrate giunge in casa di Cefalo, dopo aver assistito alle feste Bendidie di [[Atene]]. Cefalo si dimostra felice per essere riuscito a recuperare i beni perduti dal padre, offrendo il proprio modello di felicità e giustizia. Polemarco, un allievo, dice la sua sulla giustizia, ossia fare il bene per gliagli amici e il male per iai nemici. Infine parla l'irruente Trasimaco, sostenendo che la giustizia è l'utile di chi è più forte. Socrate interviene una prima volta, dicendo che se i più forti al potere fossero tiranni, potrebbero fare il male di tutti. Socrate lo contraddice ancora, arrivando alla conclusione che l'ingiustizia vuole predominare sia sull'ingiusto che sul giusto, perché molto facilmente con l'ingiustizia si ha il controllo. La giustizia allora sarebbe qualcosa all'infuori delle umane capacità. Infatti la giustizia è virtù dell'anima, come dice Socrate, al contrario di Trasimaco, che vede l'ingiustizia una virtù.
*'''Libro II''': Intervento di Glaucone su tre categorie di beni: i fini a loro stessi, quelli che possono dare anche vantaggi, e infine quelli legati a questi ultimi. Anche per Glaucone la giustizia dell'uomo consiste nel trarre vantaggi propri, anche se Socrate sostiene che il vero bene sarebbe la perpetuazione della seconda categoria. Per Glaucone insomma c'è il timore di una ingiustizia impunita, e che dunque necessiti la forza del potere. Visto che la vera giustizia per l'uomo comune sarebbe una "ingiustizia mascherata", per mantenere l'equilibrio cittadino, Socrate allora propone l'analisi della giustizia in una "Città Ideale", partendo dalle origini, dal nucleo primitivo.