Morte di Benito Mussolini: differenze tra le versioni
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{{torna a|Benito Mussolini}}La '''morte di Benito Mussolini''' avvenne il 28 aprile [[1945]] a [[Giulino]], frazione del comune di [[Mezzegra]] (oggi [[Tremezzina]]), in [[provincia di Como]], dove fu ucciso con colpi di [[arma da fuoco]] insieme all'amante [[Clara Petacci]]; gli altri gerarchi fascisti con i quali era stato catturato furono invece fucilati a [[Dongo]], luogo della sua cattura.▼
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▲La '''morte di Benito Mussolini''' avvenne il 28 aprile [[1945]] a [[Giulino]], frazione del comune di [[Tremezzina]], in [[provincia di Como]], dove fu ucciso con colpi di [[arma da fuoco]] insieme all'amante [[Clara Petacci]]; gli altri gerarchi fascisti con i quali era stato catturato furono invece fucilati a [[Dongo]], luogo della sua cattura.
Catturato il giorno precedente dai partigiani della [[52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici"]] comandata da [[Pier Luigi Bellini delle Stelle]], il capo del [[fascismo]] e della [[Repubblica Sociale Italiana]] si trovava in stato di arresto.<br/>In una serie di cinque articoli su ''[[l'Unità]]'' del marzo [[1947]], il comandante partigiano [[Walter Audisio]], detto ''Colonnello Valerio'', ha raccontato di essere stato l'unico autore dell'uccisione, nell'ambito di una missione cui avevano partecipato anche i partigiani [[Aldo Lampredi]] "Guido Conti" e [[Michele Moretti]] "Pietro Gatti" per dare esecuzione all'[[:s:Ultimatum 19 aprile 1945|Ultimatum del 19 aprile 1945]] e all'articolo 5 del ''Decreto per l'amministrazione della giustizia'', approvato a [[Milano]] il 25 aprile dal [[Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia]] (CLNAI)<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Walter Audisio|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1947_03/19470325_0001.pdf|titolo=Missione a Dongo|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140826113120/http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=%2Farchivio%2Funi_1947_03%2F19470325_0001.pdf|pubblicazione=[[l'Unità]]|data=25 marzo 1947|pp=1-2}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|autore=Walter Audisio|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1947_03/19470326_0001.pdf|titolo=Solo a Como con 13 partigiani|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140826133746/http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=%2Farchivio%2Funi_1947_03%2F19470326_0001.pdf|pubblicazione=l'Unità|data=26 marzo 1947|pp=1-2}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|autore=Walter Audisio|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1947_03/19470327_0001.pdf|titolo=La corsa verso Dongo|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140826114835/http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=%2Farchivio%2Funi_1947_03%2F19470327_0001.pdf|pubblicazione=l'Unità|data=27 marzo 1947|pp=1-2}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|autore=Walter Audisio|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1947_03/19470328_0001.pdf|titolo=La fucilazione del dittatore|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140826133735/http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=%2Farchivio%2Funi_1947_03%2F19470328_0001.pdf|pubblicazione=l'Unità|data=28 marzo 1947|pp=1-2}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|autore=Walter Audisio|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1947_03/19470329_0001.pdf|titolo=Epilogo a Piazzale Loreto|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140826115002/http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=%2Farchivio%2Funi_1947_03%2F19470329_0001.pdf|pubblicazione=l'Unità|data=29 marzo 1947|pp=1-2}}</ref>.
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Il 23 aprile le truppe alleate entrarono a [[Parma]], e da Milano non furono più possibili comunicazioni telefoniche con [[Cremona]] e [[Mantova]]; il giorno seguente fu liberata [[Genova]] e il console tedesco Wolf si fece vivo per richiedere al ministro delle finanze [[Domenico Pellegrini Giampietro|Domenico Pellegrini]] il versamento anticipato di dieci milioni di lire, quota mensile per le spese di guerra del mese seguente. Il 25 aprile mattina gli operai iniziarono a occupare le fabbriche di [[Sesto San Giovanni]] alla periferia di Milano<ref name=autogenerato1 />.
Nel pomeriggio del 25 aprile, con la mediazione del cardinale-arcivescovo di Milano [[Alfredo Ildefonso Schuster]], si svolse nell'arcivescovado un incontro decisivo tra la delegazione fascista composta da Mussolini stesso, il sottosegretario [[Francesco Maria Barracu|Barracu]], i ministri [[Paolo Zerbino|Zerbino]] e [[Rodolfo Graziani|Graziani]] (l'industriale Gian Riccardo Cella, l'ex prefetto di Milano ed ex ministro delle corporazioni Mario Tiengo e il prefetto di Milano Mario Bassi non parteciparono direttamente ai colloqui) e una delegazione del [[CLN]] composta dal generale [[Raffaele Cadorna Junior|Cadorna]], dall'avvocato [[democrazia Cristiana|democristiano]] [[Achille Marazza|Marazza]], dal rappresentante del [[Partito d'Azione]] [[Riccardo Lombardi (politico)|Riccardo Lombardi]] e dal [[Partito Liberale Italiano|liberale]] [[Giustino Arpesani]]. [[Sandro Pertini]] arrivò in ritardo a riunione conclusa. A [[Milano]] era intanto in corso lo sciopero generale e l'ordine dell'insurrezione generale era imminente. Durante l'incontro, Mussolini apprese che i tedeschi avevano già avviato trattative separate con il [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLN]]: l'unica proposta che ricevette dai suoi interlocutori fu quindi la "resa incondizionata". Un accordo al momento sembrava possibile: furono offerte garanzie per i fascisti e per i loro familiari<ref>Pierre Milza, ''op. cit.'', p. 58.</ref>, ma i repubblichini, anche se senza vie d'uscita, non vollero essere i primi a firmare la resa per essere poi tacciati di tradimento<ref>{{Cita|Zanella|p. 159}}.</ref>. Si riservarono di dare risposta entro un'ora, lasciando l'arcivescovado e ritirandosi in prefettura, ma non fecero ritorno.
Nel mentre [[Marcello Petacci]], fratello dell'amante di Mussolini, si recò dal console spagnolo di [[Milano]] Don Fernando Canthal per avere il suo permesso a un'importante missione per conto di Mussolini stesso: il console accettò ed entrambi si recarono in Prefettura dove si trovava Mussolini. Questi gli affidò una lettera per l’ambasciatore inglese Norton che si trovava a [[Berna]]: nella lettera c'era scritto che si offriva la resa della [[Repubblica Sociale Italiana]] agli inglesi; in cambio gli inglesi non avrebbero dovuto far cadere il fascismo, ma usarlo come alleato contro i comunisti<ref>{{Cita web|url=https://web.archive.org/web/20181228035025/http://anpi.it/media/uploads/patria/2011/07-24_SPECIALE_MUSSOLINI.pdf|titolo=Mussolini in fuga verso la Spagna del camerata Franco|autore=Wladimiro Settimelli|sito=ANPI|data=26 settembre 2010}}</ref>.
In serata, verso le ore 20, mentre i capi della Resistenza, dopo aver atteso invano una risposta, davano l'ordine dell'insurrezione generale, Mussolini, salutati gli ultimi fedeli<ref group="nota">Tra questi [[Carlo Borsani]] cfr. {{Cita|Dolfin}}.</ref>, lasciò Milano e partì in direzione di [[Como]]. Assieme ai fascisti si trovava il tenente Birzer con i suoi uomini, incaricato da Hitler di scortare Mussolini ovunque andasse.<ref group="nota">Si formò una colonna di circa trenta automobili, tre delle quali occupata da militari della gendarmeria tedesca, aperta da quattro motociclisti e scortata da un carro tedesco e da alcune autoblindo della ''[[Legione Autonoma Mobile Ettore Muti|Muti]]''. Sulle automobili i membri del governo quasi al completo, funzionari e personalità fasciste.</ref>
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=== Como ===
Durante il viaggio, il furgone di coda del convoglio, che trasportava valori e documenti di particolare importanza politica e militare, andò in panne nei pressi di [[Garbagnate Milanese|Garbagnate]]
{{Approfondimento
|allineamento = destra
|larghezza = 300px
|titolo = Le due casse in zinco e le due borse in pelle
|contenuto = Il furgone abbandonato in panne sulla via di Como, un "[[Fiat_508_Balilla#Versioni|Balilla Van]]", verrà poi ritrovato la mattina seguente dai partigiani<ref>Giorgio Cavalleri, ''op. cit.'', p. 157.</ref>. Secondo Howard McGaw Smyth delle due casse di zinco, portate da Gargnano, esso trasportava solo una, che risultò dispersa<ref>Sulla sparizione della prima delle due casse di zinco, avvenuta per questo guasto, v. Howard McGaw Smyth, ''Secrets of the Fascist Era'', Southern Illinois University, Carbondale and Edwardsville, 1975, p. 180.</ref>, mentre l'altra cassa di zinco sarebbe rimasta alla Prefettura di Milano e lì fu trovata dai partigiani. Secondo [[Gianfranco Bianchi]], invece, questa seconda cassa fu catturata dalla sedicesima Brigata del popolo del Corpo volontari della libertà (distaccamento Garbagnate) ed i relativi documenti erano "in deposito presso l'avv. [[Luigi Meda]], il quale aveva rilasciato regolare ricevuta, in qualità di presidente del CLN di Milano"<ref>Gianfranco Bianchi, Recensione a ''Il delitto Matteotti tra il Viminale e l'Aventino'', Il Politico, marzo 1967, vol. 32, n. 1 (marzo 1967), p. 213.</ref>. La questione della loro successiva sparizione, denunciata da [[Renzo De Felice]]<ref>R. De Felice, ''Mussolini il fascista'', Torino 1966, p. 601.</ref>, è stata risolta dal ritrovamento che ne ha fatto lo storico [[Mauro Canali]], confrontando la nota di consegna, stilata nel 1945 dai partigiani Allievi all'avvocato Meda, con i documenti versati dal Ministero dell’interno all’Archivio centrale dello Stato «in una serie particolare della Polizia politica, la cosiddetta serie B. Il versamento ebbe luogo il 9 luglio del 1969, e i documenti sono inventariati sotto la voce ‘Processo [[Matteotti]]’»<ref>Mauro Canali, ''Il delitto Matteotti'', Camerino, Università degli studi di Camerino, 1996, pp. 573-579, ove sono anche segnalate le lacune nel materiale versato.</ref>.
▲}}
Alle 21:30 il capo del fascismo raggiunse la prefettura di [[Como]]. Il giorno precedente nella città comasca era arrivata anche la moglie [[Rachele Guidi|Rachele]] con i figli [[Romano Mussolini|Romano]] e [[Anna Maria Mussolini|Anna Maria]], ma Mussolini si rifiutò di incontrarli<ref>Alcune fonti riferiscono di un incontro in prefettura a Como tra Mussolini e donna Rachele in compagnia della figlia Annamaria. v. [[Urbano Lazzaro]], ''Dongo mezzo secolo di menzogne'', p. 25.</ref>, limitandosi a scriver loro una lettera d'addio e a fare una telefonata con cui raccomandava alla moglie di portare i figli in Svizzera<ref group="nota">Alla frontiera le autorità svizzere negarono l'entrata ai familiari del Duce, che fecero ritorno a villa Mantero a Como dove erano alloggiati, ed al ministro Guido Buffarini Guidi. In quei giorni altri familiari di Mussolini si trovavano a Como: a villa Mantero erano ospitate anche Gina Ruberti, moglie di [[Bruno Mussolini|Bruno]], con la figlia Marina; il figlio [[Vittorio Mussolini|Vittorio]] giunto col padre da Milano si ricongiunse con sua moglie Orsola Buvoli già sfollata a villa Stecchini assieme ai figli Guido ed Adria; [[Vanni Teodorani]], marito di Rosa, figlia di [[Arnaldo Mussolini|Arnaldo]] con Orio Ruberti, fratello di Gina, trovarono ospitalità al [[collegio Gallio]] il 27 aprile, ove il giorno prima si era già rifugiato Vittorio, e ove rimasero nascosti fino a novembre; le mogli di Vittorio e di Vanni Teodorani, oltre che di [[Roberto Farinacci]], trovarono ospitalità presso l'istituto delle Orsoline; invece Vito, figlio di [[Arnaldo Mussolini|Arnaldo]] finì nelle carceri di san Donnino.</ref>. Durante la notte insonne, febbrili incontri con le autorità locali demolirono la possibilità di una sosta prolungata nella città, giudicata indifendibile. [[Rodolfo Graziani]] consigliò di ritornare a [[Milano]], mentre la maggior parte — in particolar modo [[Guido Buffarini Guidi]] e [[Angelo Tarchi (politico)|Angelo Tarchi]] — spinsero per entrare in [[Svizzera]], anche in maniera illegale. Su indicazione del federale di [[Como]] [[Paolo Porta]] si scelse di proseguire verso [[Menaggio]].
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=== Dongo ===
Verso le ore 16 del 27 aprile, durante l'ispezione della colonna tedesca in piazza a [[Dongo]], Mussolini fu riconosciuto dal partigiano Giuseppe Negri<ref group="nota">Della presenza di Mussolini sul camion si erano precedentemente accorti anche il parroco di [[Musso (Italia)|Musso]] don Enea Mainetti ed il giovane Fiorenzo Rampoldi, v. Giorgio Cavalleri, ''op. cit.'', p. 24.</ref> sotto una panca del camion n. 34. Fu perciò prontamente disarmato del mitra e di una pistola Glisenti, arrestato e preso in consegna dal vicecommissario di brigata [[Urbano Lazzaro]] "Bill" che lo accompagnò nella sede comunale, ove gli fu sequestrata la borsa di cui era in possesso<ref name="borsa" group="nota">Questa borsa a quattro scomparti conteneva quattro cartelle, trecentocinquanta documenti riservatissimi, un milione e settecentomila lire in assegni e centosessanta sterline d'oro. Quella stessa sera la borsa di Mussolini fu depositata, insieme a quella del colonnello Casalinuovo, presso la filiale della [[Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde]] di [[Domaso]] dallo stesso ''Bill'', accompagnato dal collaboratore ed interprete, lo svizzero Alois Hofman, e dal partigiano Stefano Tunesi. v. {{Cita|Zanella|p. 378}}.</ref>.
[[File:Fucilazione Dongo.jpg|miniatura|Fucilazione sul lungolago di Dongo dei gerarchi fascisti]]▼
{{Approfondimento
|allineamento = destra
|larghezza = 450px
|titolo = I 16 gerarchi giustiziati a Dongo
▲|contenuto =[[File:Fucilazione Dongo.jpg|
I 16 gerarchi giustiziati a Dongo dopo le 17 del 28 aprile furono:
*[[Francesco Maria Barracu]]
*[[Nicola Bombacci]]
*[[Pietro Calistri]]
*Vito Casalinuovo
*[[Goffredo Coppola]]
*[[Ernesto Daquanno]]
*[[Luigi Gatti (politico)|Luigi Gatti]]
*[[Ferdinando Mezzasoma]]
*[[Augusto Liverani]]
*[[Mario Nudi]]
*[[Alessandro Pavolini]]
*[[Paolo Porta]]
*[[Ruggero Romano]]
*[[Idreno Utimpergher]]
*[[Paolo Zerbino]]
}}
Tutti gli altri componenti italiani al seguito furono arrestati: si trattava di più di cinquanta<ref>{{cita|Roncacci|p. 403}}.</ref> persone, più le mogli e i figli al seguito. Tra di essi la maggior parte dei membri del governo repubblichino, più alcune personalità politiche, militari e sociali accompagnati dai loro familiari. Qualcuno si consegnò spontaneamente, altri tentarono di comprarsi una possibilità di fuga, offrendo ingenti somme e valori alla popolazione locale. Gli occupanti di un autoblindo cercarono di resistere ingaggiando una sparatoria, Pietro Corradori e [[Alessandro Pavolini]] fuggirono buttandosi nel lago, ma furono ripresi e Pavolini rimase ferito.<br/> Il giorno seguente sedici di essi, tra gli esponenti più in vista del regime, furono sommariamente fucilati sul lungolago di Dongo; tra i restanti, rimasti agli arresti a Dongo e poi trasferiti a Como, nelle due notti successive fu prelevata e uccisa un'ulteriore decina di prigionieri.<ref>{{cita|Roncacci|p. 391}}.</ref>.
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=== Germasino ===
[[File:Biglietto di Mussolini a Dongo.jpg|miniatura|destra|Il biglietto scritto a Dongo, dopo il suo arresto, da Mussolini su richiesta del brigadiere Giorgio Buffelli. "''La 52ª Brigata Garibaldina mi ha catturato oggi, venerdì 27 aprile sulla Piazza di Dongo. Il trattamento usatomi durante e dopo la cattura è stato corretto.''"]]
In attesa di decisioni in merito, e temendo per la sua incolumità, il comandante Bellini delle Stelle, intorno alle 18:30 del 27 aprile, trasferì l'ex duce, insieme con Porta, nella caserma della [[Guardia di Finanza]] di [[Germasino]], un paesino sopra [[Dongo]]. Prima di ritornare a Dongo "Pedro" riceve la richiesta da Mussolini di portare i saluti alla signora che accompagna il console spagnolo, senza ricevere indicazioni sulla sua vera identità. Dopo l'interrogatorio della signora, Bellini delle Stelle scoprì che si
Se al momento dell'arresto Mussolini sembrava oramai privo di energie, col passare delle ore iniziò a manifestare una certa serenità. Già a Dongo rispondeva volentieri alle domande che gli venivano rivolte, a Germasino si intrattenne con i suoi custodi discutendo su temi di politica, sulla guerra e sulla resistenza<ref>Pierre Milza, ''op. cit.'', p. 137.</ref>. Prima di coricarsi alle 23:30, su richiesta dei partigiani di guardia, Mussolini sottoscrisse questa dichiarazione: «La 52ª Brigata garibaldina mi ha catturato oggi, venerdì 27 aprile, sulla piazza di Dongo. Il trattamento usatomi durante e dopo la cattura è stato corretto. Mussolini».<ref>{{cita|Roncacci|p. 392}}.</ref> All'1:00 fu svegliato per essere trasferito di nuovo in un posto ritenuto più sicuro e, affinché non fosse riconosciuto, gli fu fasciato il capo. Di nuovo a Dongo, Mussolini fu riunito alla Petacci su richiesta di quest'ultima; poi, i due prigionieri furono fatti salire su due vetture, con a bordo, oltre ai due autisti, anche "Pedro", il "Capitano Neri", "Gatti", la staffetta [[Giuseppina Tuissi]] "Gianna" e i giovani partigiani Guglielmo Cantoni "Sandrino Menefrego" e Giuseppe Frangi "Lino"<ref name=Sandrino>Ferruccio Lanfranchi, ''Parla Sandrino uno dei cinque uomini che presero parte all'esecuzione di Mussolini'', in: ''Corriere d'Informazione'', 22-23 ottobre 1945</ref> e condotti verso il basso lago.
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==== La missione del colonnello "Valerio" ====
Alle
A [[Dongo]], "Valerio" trova un ambiente difficile e ostile,
==== La presa in consegna di Mussolini e fucilazione ====
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Giunti a casa De Maria, sempre sorvegliata da "Sandrino" e "Lino", sollecitano Mussolini, trovato stanco e dimesso, e la Petacci a lasciare rapidamente l'abitazione. In strada i prigionieri sono fatti sedere nei sedili posteriori della vettura e vengono accompagnati nel luogo precedentemente scelto per l'esecuzione poco distante<ref group="nota">Villa Belmonte dista da casa De Maria circa trecentocinquanta metri.</ref>: si tratta di un angusto vialetto, via XXIV Maggio a [[Giulino]], in posizione assai riparata davanti a Villa Belmonte, una graziosa residenza di villeggiatura. Qui i due sono obbligati a scendere.
Moretti e Lampredi sono inviati a bloccare la strada nelle due direzioni, mentre a Mussolini viene fatto cenno di dirigersi verso il cancello. Sembra smarrito, Claretta piange. "Valerio" sospinge Mussolini verso l'inferriata e pronuncia la sentenza: "Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano" e, rivolgendosi a Claretta che si aggrappava all'amante: "Togliti di lì se non vuoi morire anche tu". Tenta di procedere nell'esecuzione ma il suo mitra si inceppa; Lampredi si avvicina, estrae la sua pistola, ma anche da questa il colpo non parte, chiama allora Moretti che, di corsa, gli porta il suo mitra. Con tale arma il "colonnello Valerio" scarica una raffica mortale di cinque colpi sull'ex capo del fascismo. La Petacci, postasi sulla traiettoria del mitra, è colpita e uccisa anch'
L'edizione locale del ''[[l'Unità]]'', il giorno seguente, riporta il fatto con questo titolo a tutta pagina: "Mussolini e i suoi accoliti giustiziati dai patrioti nel nome del popolo"<ref>[http://www.associazioni.milano.it/isec/ita/cronologia/crono28apr.htm cronologia dell'insurrezione a Milano]</ref>; mentre l'edizione nazionale del 1º maggio riporta in prima pagina un'intervista col partigiano - di cui non viene fatto il nome - che "ha giustiziato il Duce", intitolata: "Da una distanza di 3 passi sparai 5 colpi a Mussolini".
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[[File:Cadaveri piazzale Loreto.jpg|thumb|Il distributore visto dalla prospettiva in cui si trovò Starace quando venne fucilato]]
Sempre a [[Dongo]], i 15 cadaveri dei
Alle 3:40 di domenica 29 aprile la colonna giunse in [[piazzale Loreto]], meta che secondo [[Walter Audisio]] non fu casuale o improvvisata, ma meditata<ref>Walter Audisio, ''op. cit.'', p. 387.</ref> per il suo valore simbolico. Qui Valerio decise di scaricare i cadaveri a terra, proprio dove le vittime della [[Strage di Piazzale Loreto|strage del 10 agosto 1944]] furono abbandonate, in custodia ai [[Legione Autonoma Mobile Ettore Muti|militi fascisti della Muti]], che li avevano dileggiati e lasciati esposti al sole per l'intera giornata, impedendo ai familiari di portarli via.
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