Renato Poggioli
critico letterario italiano (1907-1963)
Renato Poggioli (1907-1963), critico letterario italiano.
- L'impulso che muove a tradurre poesia straniera è contraddittorio ed ambiguo, perché deriva da un amore di terra lontana e dalla nostalgia dell'idioma e del paesaggio nativo. Ma è confusione che si risolve nella passione più alta per la patria eterna ed universale della poesia. (Cambridge, Mass. USA, 21 maggio 1956[1]).
- Sergej Esenin fu il poeta della natura, non della storia; dell'autunno, non dell'Ottobre... La sua enfasi cromatica fa spesso pensare alla pittura d'icona, alla decorazione musiva, o più generalmente all'arte bizantina.[2]
- Esenin espresse la propria protesta di fronte all'invasione e alla devastazione della campagna da parte della civiltà industriale mediante la fabbrica e la miniera, i pali del telegrafo e le strade ferrate... e la sua crisi è quella del campagnolo inurbato, un contadino divenuto figura pubblica, per sempre corrotto e contaminato dentro e fuori la Russia dal morbo della vita moderna. Evase nel paradiso artificiale dell'alcool, nell'inferno dell'acquavite.[2]
- [A proposito di Esenin] Il poeta più immaturo ma in potenza più autentico che la Russia avesse prodotto dopo Aleksandr Blok.[2]
- La voce di Blok fu un a solo nel coro dei Simbolisti. Era di loro il più puro, il più bello e il più giovane: aveva una fede più grande, e per questo fu il primo a smarrirla.[3]
- [A proposito di Aleksandr Blok] Fu il bianco cigno della Russia.[3]
- La grandezza poetica di Blok fu d'essere la Cassandra di quella tempesta, e di morire, come Cassandra, vittima del proprio presagio.[3]
- Se c'è un poeta moderno la cui opera dia l'impressione di muoversi a un tempo, per un miracoloso dono d'ubiquità, nelle sfere ideali che abbiamo simboleggiato con le formule di canzoniere e poesia pura, quel poeta è Giacomo Leopardi.[3]
- Tale è, quasi sempre, il carattere dell'ispirazione di Puškin: così casta e semplice, così ingenua e sincera nell'obbedire col canto allo stimolo dell'occasione.[3]
- L'esuberanza e la vitalità dell'ispirazione di Balmont, la fecondità della sua opera, i suoi stessi peccati di gusto, che errano sempre nel senso della sproporzione e dell'eccesso, la predominanza fra i suoi stati d'animo di un ottimismo panico e cosmico che fa pensare a Walt Whitman, distinguono il temperamento di questo poeta da quello degli altri Decadenti, artisti più consapevoli e sterili, dotati di maggior gusto e misura, dominati da un senso della vita pessimistico o negativo.[3]
- [A proposito di Konstantin Dmitrievič Bal'mont] Le cose migliori scritte negli anni più tardi sono invece proprio quelle in cui il poeta ha perduto l'antica baldanza, quelle dominate dal senso del rimpianto, del dolore e del dubbio.[3]
- [A proposito di Konstantin Bal'mont] Egli riduce la poesia soprattutto a suono, ad "amore sensuale della parola", o, per usare le sue parole, ad "illusione canora".[3]
- [A proposito di Andrej Belyj] Più dotato come prosatore che come poeta [...] tracciò i suoi romanzi più importanti sulla tela d'immense, arbitrarie e personali allegorie. [...] Insomma un visionario ed un eccentrico, come si riconobbe egli stesso [...]. In fondo, lo spirito più rappresentativo e più tipico, anche dal punto di vista degli errori, della sua generazione e dell'intelligentia russa anteriore alla Rivoluzione, una classe destinata non tanto al martirio o al sacrificio quanto all'annientamento o al suicidio.[3]
- Ivanov considerò il poeta come un sacerdote, o come il pastore di un gregge, che ha cura d'anime. [...] Si costruì una poetica orfica e medievaleggiante, che concepiva la poesia come mistero e miracolo, come oracolo e profezia. Nella confraternita simbolistica egli vide una setta d'eletti o d'iniziati, di "fedeli d'amore", d'un amore insieme cavalleresco e mistico.[3]
- [A proposito di Vjačeslav Ivanov] Lo stile fastoso e solenne gli guadagnò [...] il soprannome di "Venceslao il Magnifico": perché la lingua di questo poeta è rituale e liturgica anche quando i temi sono profani e pagani.[3]
- Le liriche di Venceslao Ivanov sono quasi sempre [...] odi o inni. La grecità è il suo ideale anche quando l'ispirazione è cristiana: una grecità in cui l'impulso dionisiaco è spesso più forte dell'equilibrio apollineo.[3]
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