La ginestra

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Questa poesia fu scritta dal Leopardi nel 1836 nella villa Ferrigni presso Napoli. La poesia è composta da sette strofe a libera di endecasillabi e settenari con qualche rima nel mezzo. Il Leopardi vi esprime tutta la sua visone di vita e tutto il suo pessimismo cosmico, ma anche dà indicazioni sul possibile libero pensiero capace di migliorare le sorti dell'umanità. Ma queste indicazioni positive e fiduciose nella natura umana verranno tolte nell'ultima poesia scritta dopo questa Il tramonto della luna nella quale il poeta esprime solo il suo pessimismo e la sua tristezza delusione per il genere umano.

Parafrasi e costruzione diretta della poesia=

Prima strofa=

Qui sopra le falde del terribile e sterminatore monte Vesuvio, dove né fiori né alberi sopravvivono, tu, o profumata ginestra, diffondi i tuoi cespugli tutt'intorno, che vivi bene anche nei deserti. Già io ti vidi abbellire con i tuoi steli le campagne che circondano la città di Roma, la quale fu un tempo dominatrice degli uomini e queste campagne solitarie pare che ricordino con il loro aspetto insalubre la grandezza del perduto impero. Ora ti rivedo in queste terre, amante di tristi e solitari luoghi e compagna di grandezze decadute. Queste terre, che ora sono ricoperte di ceneri bruciate e di lava pietrificata, dove la serpe si nasconde e si contorce al sole, dove il coniglio ritorna al suo nido, una volta erano piene di ville e coltivate e piene di spighe che maturavano e dove si sentiva il muggito di armenti e erano piene di giardini e di palazzi dove i potenti si riposavano, e vi fiorino anche città popolose che il superbo vulcano distrusse con i suoi torrenti di lava fulminandoli e bruciandoli insieme ai suoi abitanti. Ora una rovina regna dove tu vivi, o fiore gentile, e quasi addolorandosi per questi mali mandi al cielo odore dolcissimo che consola i deserti. In queste terre venga colui che ha in uso di esaltare la condizione umana e veda quanto poco la natura umana è amata dalla natura. E in queste terre egli può giudicare la potenza del genere umano al quale la natura con un lieve sussulto sotterraneo può distruggere in parte e con un movimento più forte lo può distruggere totalmente, quando meno se lo aspetta. Egli vedrà, allora, dipinte in queste terre le magnifiche e progressive sorti dell'umana gente.

Seconda strofa

Secolo XIX, superbo e sciocco, che hai abbandonato il risorto pensiero risorgimentale ed il sensismo illuministico e che ti vanti di questo ritorno indietro e lo chiami progresso. Tutti i letterati, di cui tu sei il loro padre per disgrazia, che ti adulano, anche se dentro di loro ti hanno a ludibrio. Io non morirò con questa vergogna, poiché avrò mostrato il mio disprezzo apertamente verso di te, anche se so che sarà dimenticato chi si rese odioso ai suoi contemporanei. Ma io mi riso assai di questo mio oblio che avrò insieme a te. Tu, secolo superbo e sciocco, vai sognando la libertà di pensiero, ma ad un tempo lo vuoi fare servo, il pensiero grazie al quale noi risorgemmo dall'età e usanze medievali, e grazie al quale si cresce nella Civiltà, che solamente guida il progresso sociale. Tu, secolo superbo e sciocco, non hai accettato la verità della difficile sorte umana e del basso logo che la natura gli diede. Per questo motivo hai vigliaccamente rivoltato le spalle alla filosofia rinascimentale e chiami vile chi la segue mentre chiami magnanimo colui che schernendo se stesso o per astuzia o per follia esalta la sorte degli uomini al di sopra le stelle. (ritorna ai nuovi credenti che con la loro presunzione esaltano il progresso, dimenticando tutti i mali che affliggono gli uomini).

Terza strofa

Un uomo di povera condizione e malato nel fisico, ma che sia generoso e nobile nell'animo, non ostenta e non stima se stesso ricco e forte e non dà ridicolo spettacolo di sé tra persone di vita splendida e vigorosa, ma senza vergogna lascia apparire se stesso privo di forza e di ricchezza e, parlando, tale si dichiara apertamente e giudica le sue cose conformemente alla verità. O essere umano, io non credo già (a niente), ma credo stolto chi sa che è destinato a morire, nutrito con difficoltà si vanta di essere nato per godere e riempie di spregevole orgoglio i suoi scritti e promette grandissima felicità che non è conosciuta non solo nella terra, ma nemmeno in cielo, a popoli che un maremoto, un'epidemia o un terremoto possono distruggere tanto che di essi rima ne rimane a malapena il ricordo. Nobile natura è, invece, quella che ardisce di sollevarsi e di guardare con gli occhi la faccia del destino e che con un linguaggio onesto e chiaro, non togliendo nulla alla verità, accetta il male che fu dato in sorte agli uomini e accetta la bassa condizione umana e che si mostra grande e forte nelle angosce e si mostra forte nelle sofferenze, e non aggiunge odi ed ire contro i suoi simili, che sono più gravi di ogni altro danno e non incolpa l'uomo del suo dolore, ma dà la colpa a chi è veramente la colpevole, la quale è madre dei mortali perché li genera ed è loro matrigna perché gli è ostile nella volontà. L 'uomo nobile di spirito e di pensiero chiama la natura la vera nemica degli uomini, e siccome ritiene che la società umana si organizzò contro di essa già fin dalle origini, ritiene tutti gli uomini confederati fra sé e porge a loro aiuto e da essi si aspetta aiuto valido e pronto durante le ore difficili della guerra comune. L'uomo nobile di spirito e di pensiero non danneggia i suoi amici o insidia i suoi vicini, perché crede che sarebbe sciocco quanto lo sarebbe chi un campo di battaglia assediato dai nemici nel momento più vivo degli assalti, intraprendesse aspre lotte interne e provocasse la fuga dei suoi guerrieri, colpendoli con la spada. Questi pensieri, quando saranno conosci dal popolo, e quando l'orrore, che per primo strinse gli uomini in catena umana contro l'empia natura, sarà guidato da un saper vero, allora l'onesto e il corretto vivere civile e la giustizia e la pietà umana saranno guidati da altre e giuste idee che non le false e stupide credenze religiose le quali oggi governano la probità degli uomini, come le cose che hanno fondamento sull'errore. (Le idee della restaurazione politica e le credenze religiose dei cattolici).

Quarta strofa

Spesso io mi siedo in queste terre desolate che la lava riveste di scuro e sembra che i flussi pietrificati ondeggino; e dalla solitaria landa vedo le stelle brillare nel purissimo cielo, che da lontano riflette il mare, e vedo attorno brillare tutto il mondo nei vuoti spazi celesti. E poi quando fisso i miei occhi alle stelle che a loro sono un punto mentre, invece, sono immense, cosi ché la terra e il mare in confronto a loro sono un punto; in confronto a loro non solo l'uomo è sconosciuto, ma anche la terra è del tutta sconosciuta e quando guardo le nebulose, quei nodi di stelle lontanissime, che a noi appaiono come nebbia, nei confronti delle quali non solo l'uomo e non solo la terra, ma anche tutte le nostre stelle, infinite per numero e per grandezza, e tutto il sistema solare sono ignoti o al massimo appaiono come le nebulose alla terra, cioè un punto annebbiato; di fronte a questi spazi immensi, stirpe dell'uomo, che cosa sembri al pensier mio? E ricordando la tua condizione quaggiù di cui dà segno il suolo che io calpesto, e ricordando, dall'altra parte, che tu , o uomo, ti ritieni fine dell'universo; e quante volte hai immaginato che gli Dei per tuo motivo scendessero in questo oscuro granello di sabbia che ha nome di terra, e hai immaginato che conversassero con te piacevolmente; e pensando che perfino l'età presente, che sembra superare tutte le precedenti in sapere ed in civiltà, ha riesumato le antiche credenze (medievali) che offendono i saggi; quale sentimento e quale pensiero, o infelice razza umana, mi stringe il cuore finalmente verso di te? Non so se il riso (per la tua superbia o per la tua stupidità) o la pietà (per la tua misera condizione) debba prevalere.

Quinta strofa

Come un piccolo pomo, cadendo da un albero senza nessuna forza, sul finire dell'autunno, distrugge devasta e schiaccia in un solo momento i dolci nidi di un popolo di formiche, le quali con tanta fatica e con gran lavoro avevano provveduto nell'estate a costruire, così la lava, scagliata in alto dal profondo vulcano cade o scendendo tra gli arbusti lungo il fianco della montagna piena di terra infuocata distrugge e seppellisce in un solo momento le città che erano bagnate dal mare; per cui oggi su questi posti la capra vi pasce e altre città, nate da quelle sepolte, ora vi sorgono e sembra che il tremendo vulcano ancora oggi vuole calpestare le città distrutte. La natura non stima di più gli uomini che le formiche; e se le distruzioni sono di più fra le formiche e non fra gli uomini ciò è dovuto perché gli uomini hanno generazioni meno feconde.

Sesta strofa

Ben mille e ottocento anni sono passati da quando le popolose città di Pompei ed Ercolano sono state distrutte dalla forza della lava eppure ancora oggi il contadinello che coltiva ai suoi vigneti, che la terra morte e incenerita a stento nutre, alza lo sguardo ansioso alla vetta del vulcano, che per nulla domata ancora è là e ancora minaccia di distruggere i suoi pochi averi a lui e ai suoi figli. E spesso il contadino, guardando dal tetto della sua modesta casa e balzando in piedi di notte, osserva il sentiero della lava che arriva fino alla spiaggia e al cui bagliore rilucono e rosseggiano la marina di Capri e il porto di Napoli e Mergellina. Il contadino, se lo vede avvicinarsi o se sente nel fondo del pozzo gorgogliare l'acqua, allora sveglia la moglie e i figlioli, e fugge via con quante cose può portare con sé, e da lontano guarda la sua abituale dimora e guarda il suo piccolo campo che era il suo unico mezzo di sostentamento, e intanto inesorabilmente arriva la lava, crepitando, la quale si sovrappone durevolmente sopra i campi. Pompei, dopo la lunga dimenticanza, torna alla luce del sole, come uno scheletro dissotterrato, per l'avidità di scoprire nuovi tesori o per la pietà dei resti antichi; e se il visitatore guarda dal centro della piazza lungo le file delle colonne spezzate, allora vede la doppia cima del monte e vede li cono fumante che ancora oggi minaccia di distruggere le rovine rimaste. E il fuoco della lava mortale scende attraverso l'ombra della notte e rosseggia e tinge tutt'intorno e scorre attraverso l'orrore della secreta notte e passa per i vuoti teatri e per i templi diroccati e attraversa le case abbandonate, dove i pipistrelli nascondono i figli, come una fiaccola sinistra e fumosa vaga per i vuoti palazzi. La natura, incurante degli uomini e del tempo che passa, che egli chiama età antiche, e incurante delle generazioni di padre in nipoti, se ne sta sempre uguale se stessa e procede cosi lenta tanto che sembra che stia ferma. Intanto gli stati cadono, i popoli e i linguaggi passano; e lei di tutto di ciò non se ne avvede eppure l'uomo si vanta di essere eterno.

Settima strofa

E tu, fragile Ginestra, che abbellisci con i tuoi fiori profumati queste desolate campagne, anche tu sarai distrutta dalla crudele forza della lava, che ritornando al luogo già colpito dall'eruzione stenderà la sua ombra avida sui tuoi fragili cespugli. E tu piegherai il capo innocente sotto il peso mortale senza fare nessuna resistenza: ma tu non hai piegato fino allora il capo invano, codardamente, e non hai supplicato il tuo futuro oppressore; ma non hai eretto il capo con forsennato orgoglio né contro le stelle ne contro il deserto, dove tu avesti la nascita e la sede non per tuo volere ma per caso; ma tu sei tanto più saggia dell'uomo, ma tu sei tanto meno malata di orgoglio, perché non hai creduto che i tuoi fragili arbusti siano stati fatti immortali né dal destino né da te stessa.

Aspetti estetici della poesia=

La bellezza di questa poesia è innegabile. Essa deriva da molti aspetti: dal suo linguaggio asciutto e vibrante, dal suo pensiero filosofico accusatorio e persecutorio contro l’empia natura, dalla fusione di classicismo latino e greco con gli spunti dei classici della letteratura italiana, dal romanticismo europeo al titanismo leopardiano. Il Leopardi è riuscito a fondere tutti questi elementi in una poderosa opera di patos e di Sehnusucht. Eppure una leggiadria aleggia nel componimento poetico dovuta alla grandiosità dell’opera e all’aspirazione all’infinità che circolava nell’anima del Leopardi. La canzone offre una bellezza unica e maestosa come quella che è visibile nel grande affresco di Michelangelo Buonarroti nel “Giudizio Universale” o quella che è udibile nella quinta sinfonia di Beethoveen.