Tibaldeschi (famiglia)

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Stemma della Famiglia Tibaldeschi, nobili Romani. Stemma estratto dal libro d'oro delle nobili famiglie Romane, in virtù della Bolla Benedettina (Urbem Romam) 1742.
Stampa del 1800, raffigurante S.E. mons. Aurelio Tibaldeschi, vescovo di Ferentino, cavaliere Gerosolimitano, Commendatario delle commende Melitensi di San Giacomo di Ferentino, di Albarese, di San Giustiniano di Perugia.
Ritratto del 1580, di Vincenzo Tibaldeschi (fratello di Aurelio Tibaldeschi vescovo di Ferentino), colonello delle milizie, governatore e capitano a guerra del popolo di Ferentino (1557).
stampa del 1800, raffigurante Francesco Tibaldeschi cardinale col titolo di Santa Sabina,

La casata dei Tibaldeschi è un'antica famiglia nobile originaria di Ferentino e presente a Roma sin dal XIV secolo.[1]

In seguito alla bolla pontificia Urbem Romam promulgata nel 1774 da papa Benedetto XIV, la famiglia patrizia venne inclusa nell'Albo della nobiltà romana, entrando poi a far parte della nobiltà italiana in seguito alla caduta dello Stato Pontificio. Nel 1922 la famiglia rientrò nel libro d'oro della nobiltà italiana con il titolo di "nobili di Ferentino".

Le origini di questa antichissima famiglia sono incerte e tra le numerose teorie, ben tre sono considerate realisticamente veritiere. Secondo una prima versione di Padre Fortunato Ciucci la famiglia Tibaldeschi avrebbe origine da Tibaldo Orsini, nobile romano che, in seguito a diatribe coi fratelli, ordinò che i suoi figli ed eredi prendessero il cognome di Tibaldeschi (creato a partire dal nome Tibaldo) ordinando per giunta il mutamento dell'arma araldica che avrebbe dovuto presentare colori opposti a quella precedente.[2] Secondo lo storico Teodoro Amayden la famiglia sarebbe invece discendente sia dalla Casa Orsini che dalla germanica famiglia dei Tebaldi,[3] mentre una terza teoria colloca le origini della famiglia nell'Italia centrale ove sarebbe presente nei vari rami residenti a Roma, Norcia, Ascoli Piceno e Ferentino sin dal Trecento.[4]

Stemma personale di S.E. mons. Aurelio Tibaldeschi, vescovo di Ferentino (1554-1585), cavaliere Gerosolimitano, Commendatore delle commende di San Giacomo di Ferentino, di Albarese e di San Giustiniano di Perugia.

È stato accertato storicamente che la famiglia Tibaldeschi era già presente in Roma nel XIII secolo. Infatti in una convenzione del 20 febbraio 1274 tra Matteo di Napoleone Orsini e Giacomo suo fratello, si parla di una terra, detta la Cavisana dotata di torre merlata, posta nella Valle di Formello, di proprietà di Tommaso Ammazzalupi, in condominio con i Tibaldeschi[5].

Il ramo dei Tibaldeschi di Roma della metà del XIII secolo è lo stesso che risiedeva a Ferentino, poiché la città si prestava molto bene come meta di villeggiatura estiva, fin dai tempi degli imperatori romani e dei pontefici, come ci fa sapere Orazio nella sua Epistola: "Si te grata quies primam somnus in horam delectat, si te pulvis strepitusque rotarum, si laedit, caupona, Ferentinum ire iubebo: nam neque divitibus contingunt solis"[6], in italianoː "Se ti piace la tranquillità ed il sonno continuo fino al levarsi del sole, se ti dan fastidio la polvere ed il fracasso delle ruote e le osterie, ti consiglierei di andartene a Ferentino: poiché non ai soli ricchi è dato di godere".

Ferdinando Gregorovius[7] pone le abitazioni della famiglia Tibaldeschi nei rioni romani di Ponte e Parione.

Stemma personale di Vincenzo Tibaldeschi, colonello delle milizie, governatore e capitano a guerra del popolo di Ferentino. Stemma: Inquartato, nel primo e nel quarto partito le armi dei Ciocchi del Monte di San Savino (Vincenzo era figlio a Lorenza Ciocchi del Monte di San Savino, figlia di Pierpaolo fratello del cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte); nel secondo partito d'oro con una fascia azzurra caricata di una speronella d'oro (questa arma venne spesso usata da Pietro Tibaldeschi di Norcia, senatore romano); nel terzo partito l'arma antica dei Tibaldeschi romani.

Nel XIV secolo vi era a Roma una via de' Tebaldeschi, ora denominata via dei Cappellari.

Nei protocolli del notaio romano Iohannes Niocolai Pauli, in un atto di vendita del 24 ottobre 1348, figurano i presbiteri Stefano e Tebaldo de' Theballescis, canonici della chiesa romana di Sant'Adriano[8].

Nell'elenco degli statuti romani del 1363, nella felice società dei Balestrieri e dei Pavesati, figurano per lo più notai e uomini di legge, tra i quali troviamo: "Nicolaus Thebaldeschi de regioner Parionis"[9]. L'esponente di rilievo di questa famiglia romana fu il cardinale Francesco Tibaldeschi.

Francesco Tibaldeschi

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Francesco Tibaldeschi, nacque a Ferentino intorno al 1299, dal nobile Giovanni di Tebaldo dei Tebaldeschi, de Thebaldescis, e della nobildonna Costanza Caetani degli Stefaneschi, figlia del senatore romano Pietro Stefaneschi e di Perna (figlia di Gentile Orsini, nipote del papa Nicolò III Orsini).

Ritratto del 1580, raffigurante S.E. mons. Aurelio Tibaldeschi, vescovo di Ferentino.

Costanza Caetani degli Stefaneschi, madre di Francesco, era sorella del cardinale Giacomo Caetani Stefaneschi.

Francesco Tibaldeschi era cugino del cardinale Annibaldo Caetani de'Ceccano (la madre del cardinale Annibaldo, era sorella della madre del cardinale Francesco Tibaldeschi).

Per intercessione dello zio (il cardinale Jacopo Stefaneschi) ricevette nel 1335 i canonicati di Santa Maria in Trastevere, di Padova e di Ferrara[10].

Sotto il pontificato di Benedetto XII (gennaio 1335) Francesco Tibaldeschi appare per la prima volta come esecutore di lettere beneficiali papali.

Nel maggio 1336 subentrò a un Orsini in un canonicato a Santiago di Compostella, ma particolarmente caro fu il canonicato di S. Pietro in Vaticano.

Di S. Pietro in Vaticano fu anche camerarius, e poi dal 1335 circa priore ossia decano, vi eresse una cappella detta Ossibus Apostolorum, dotandola di tre chierici beneficiati per i servizi liturgici, con beni a Velletri, a Torricella (diocesi di Porto) e a Roma.

In quanto priore di S. Pietro concluse transazioni importanti, come l'acquisto di metà del castello di Attigliano da Orso di Napoleone Orsini (25 agosto 1360).

Nel 1348 è tra gli esecutori testamentari del cardinale Annibaldo Caetani de' Ceccano, come priore della Basilica di S. Pietro in Roma (il cardinale Annibaldo de'

Ceccano menziona nel suo testamento del 17 giugno 138l Francesco Tibaldeschi come uno dei suoi consanguinei e cappellani).

Compare anche come testimone in un atto concernente l'abitazione del vescovo di Firenze, mons. Francesco degli Atti, redatto in Avignone nel 1355[11].

Nel 1363 Francesco Tibaldeschi era già così apprezzato da essere incluso fra gli emissari inviati da Urbano V. Gli fu affidata l'amministrazione del finanziamento di lavori di restauro alle chiese dell'Urbe, e a Tibaldeschi insieme all'abate di S. Paolo fuori le mura, fu assegnata la fabbrica dell'abazia di San Paolo fuori le mura.

Nel settembre 1363 fu indicato dal pontefice come uno dei interlocutori di Giacomo Muti, che doveva preparare il suo ritorno a Roma, in particolare per l'acquisto di Castel Sant.Angelo dagli eredi di Napoleone Orsini.

Nel 1365, secondo un atto del notaio romano Antonio Giocoli, dell'11 giugno 1365, il signor Francesco Tebaldeschi, priore della Basilica di San Pietro in Vincoli, vendette una casa posta nel portico di S. Pietro.

Nel 1367 il papa ad Avignone lo nominò cappellanus honoris.

Nel 1368, Francesco fu nominato Cardinale in Montefiascone da papa Urbano V, con il titolo presbiteriale di Santa Sabina, "Guglielmo di Grimoard" (1362-1370).[12]

Dipinto del 1580, raffigurante gli esponenti della famiglia Tibaldeschi di Ferentino con i propri parenti affini. Il ramo della famiglia Tibaldeschi di Ferentino del 1500, si imparentò con la nobile famiglia Ciocchi del Monte di San Savino tramite il matrimonio tra Giulio Cesare Tibaldeschi e Lorenza Ciocchi del Monte di San Savino, Lorenza era cugina carnale al pontefice Giulio III, e di Pietro del Monte Gran Maestro dell'Ordine Gerosolimitano (oggi detti di Malta).Il dipinto si presenta così: In alta a sinistra la figura di Vincenzo Tibaldeschi,(con vesti da governatore e capitano a guerra del popolo di Ferentino); segue al centro in alto donna Lorenza Ciocchi del Monte (madre di Vincenzo, Aurelio e Fabrizio); segue davanti, Fabrizio Tibaldeschi, (fratello di Vincenzo e di Aurelio); sotto in basso a sinistra Pietro del Monte Gran Maestro dell'Ordine Gerosolimitano (oggi detti di Malta); segue al centro il Pontefice Giulio III Ciocchi del Monte; segue in basso a destra Aurelio Tibaldeschi, vescovo di Ferentino, cavaliere gerosolimitano, commendatario delle commende melitensi di San Giacomo di Ferentino, di Albarese e di San Giustiniano di Perugia.

Nel 1369 assieme ad altri quattro cardinali, venne inviato dal papa per ricevere in Roma la solenne professione di fede dall'imperatore Giovanni di Costantinopoli, Giovanni V Paleologo, nella chiesa di Santo Spirito in Sassia.

Ricoprì la carica di legato pontificio di Roma, di Marittima e Campagna, nel patrimonio di San Pietro in Tuscia e nel ducato di Spoleto e Tesoriere della chiesa di Langres.

Nel 1370 partecipò al Conclave di Avignone, conclave che elesse papa Gregorio XI, Pietro Roger de Beaufort, che lo nominò suo legato a Roma con amplissimi poteri e con ordine di indurre al dovere i baroni romani. Francesco morì nel 1378 a Roma e fu tumulato in S. Pietro nelle grotte Vaticane.

Accenna a questo cardinale anche lo storico Giovardi[13], affermando di essere romano ma originario di Ferentino, inoltre lo stesso Giovardi afferma che lo stemma dei Tibaldeschi deriva da quello degli Orsini, stemma che si poteva ammirare presso le mura della Porta S. Croce di Veroli.

Lo storico Luigi Morosini[14] nel libro, "Notizie storiche di Ferentino" pone il cardinale Francesco Tibaldeschi, tra i personaggi illustri della città.

Nel 1470 si ha notizia in Roma, della presenza di Francesca di Tebaldo dei Tebaldeschi, del rione Parione che sposa Agapito di Filippo Porcari del rione Pigna[15].

Nel 1510 troviamo in Roma come conservatore, magistrato della Camera Capitolina : Tebaldo dal 1510, Albertino dal 1523 e Michelangelo dal 1551.

Nel 1460 Pietro Tibaldeschi di Roma, figlio di Tebaldo e di Orsina di Ulisse Orsini, giunse nel Monferrato, dove si trovò al servizio dei marchesi Paleologici e fu infeudato di diverse località[16].

Da Pietro Tibaldeschi romano discende Bernardino, primo vescovo di Casale (1474 - 1517).

Ramo di Norcia

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Nella metà del XIV secolo, un ramo dei Tibaldeschi, si trasferì da Roma a Norcia. Dei Tibaldeschi di Norcia conosciamo Pietro e Lazzaro, entrambi figli di Giovanni Tibaldeschi.

Il 7 gennaio 1442, Pietro, come senatore e commissario del cardinale d'Aquileia, giudica e condanna a morte, nel castello di Passerano, Giacomo de' Sordi e compagni[17].

Nel 1444, il senatore, conte Pietro Tibaldeschi, ricopre la carica di capitano del Popolo in Firenze, divenendone quindi Podestà tra il 1456 ed il 1457. Questi, nel 1490, dotò una cappella sita nella chiesa romana di San Lorenzo in Damasco, con l'onere di messe da celebrarsi quotidianamente[18].

Inoltre si conoscono anche i signori Marcello, Tommaso, Berardo governatore dell'Aquila, Martino, Podestà di Faenza nel 1430, Vincenzo, da cui: Pomponio, prete canonico prebendario della chiesa di Santa Maria Maggiore di Ferentino; Giustiniano, donna Silvia Accursi, dalla quale: Gerolamo, Giulio, Annibale, Bartolomeo e Porzia. I Tibaldeschi di Norcia si estinguono nella famiglia Argentieri nella metà del XVIII secolo.

Ramo di Ascoli Piceno

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Il ramo di Ascoli Piceno compare nel corso del Trecento. I suoi rappresentanti si trovano a capo della fazione guelfa ed esercitano sempre una parte di primo piano nelle vicende della città, fino all'estinzione avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo[19].

Nel 1360 Ascoli Piceno venne conquistata da Filippo Tibaldeschi capitano di ventura, detto Boffo da Massa, che governò Ascoli Piceno per un anno (1360-1361).

Il Tibaldeschi faceva parte della Lega della Repubblica di Firenze, partecipò alla guerra degli Otto Santi e conquistò diversi territori: conquista di Fermo con Gentile da Mogliano, conquista di Castiglione, assedio di Ascoli, assedio di Ripatransone conquista di Cossignano, assedio di Carassai, conquista di Porchia, assedio di Rotella, assedio di Montalto delle Marche.

Fu assassinato il 4 settembre 1387. Ebbe così fine la violenta vicenda di Boffo, che per pochi anni riuscì a fare di Carassai una piccola signoria. Fu sepolto nella chiesa di Sant'Eusebio, poi demolita nel 1832.

Nel 1404 Giovanni di Massio (o di Massa) dei Tibaldeschi, fece costruire il palazzo Tibaldeschi, come recita un'epigrafe posta sulla facciata di via Tomasacco 5 di Ascoli Piceno, così dall'epigrafe trascritta: Il grande e strenuo Giovanni di Massio (o di Massa) dei Tibaldeschi fece fare queste case in lode e in reverenza di Iddio onnipotente, dalla santa vergine Maria di Sant'Emidio e di San Martino protettore della parte guelfa nell'anno del Signore 1404, nella dodicesima indizione, al tempo di papa Bonifacio IX.

Ramo di Ferentino del XVI° secolo

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Il ramo della famiglia Tibaldeschi di Ferentino del XVI secolo, ebbe origine da esponenti provenienti dal ramo di Norcia, che risiedevano alternativamente anche a Roma.

I Tibaldeschi di Ferentino, sono legati da vincolo di parentela con la famiglia Ciocchi del Monte dalla quale proviene Papa Giulio III[20].

Il primo esponente della famiglia Tibaldeschi che troviamo a Ferentino, fu nel 1493, il dott. Roberto Tibaldeschi di Norcia, funzionario papale, Rettore e Giudice Generale di Marittima e Campagna, sede questa posta a Ferentino.

Roberto Tibaldeschi

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Roberto Tibaldeschi, nacque a Norcia nel 1468 e morì nel 1517. Figlio di sir Lazzaro notaio in Norcia, venne inviato a Roma a studiare sotto la protezione di suo zio, il senatore Pietro Tibaldeschi, figlio di Giovanni Tibaldeschi di Norcia.

Finito gli studi si laureò in giurisprudenza. Nel 1485, tornato a Norcia, sposò donna Laura, il cui figlio, Giulio Cesare, nacque a Norcia nel 1492 e morì nel 1569 a Ferentino.

Il 15 settembre 1493 Roberto venne nominato dal Pontefice Alessandro VI funzionario papale, rettore e Giudice Generale di Marittima e Campagna[21] sede questa posta a Ferentino, quindi si trasferì da Norcia a Ferentino con sua moglie donna Laura e suo figlio Giulio Cesare.

Donna Laura, moglie di Roberto Tibaldeschi, morì a Ferentino nel 1503, quindi Roberto decise di dedicarsi alla vita ecclesiastica. Papa Giulio II "della Rovere", nel 1505 lo nominò così alla cattedra di Civitate nel Regno di Napoli, città che amministro per 12 anni, dal 1505 al 1517, vedi Diocesi di San Severo.

In alcuni documenti, Roberto Tibaldeschi viene menzionato anche come: Roberto Tebaldino, anziché Tebaldeschi, mentre l'Eubel lo menziona come Roberto Tribaldeschi.

Lo storico Annibale Mariotti, nel suo libro Saggio di memorie istoriche civili ed ecclesiastiche della città di Perugia, vol. I°, edizione II°, ci fa sapere: "Anno 1510, 11 Luglio, Roberto Tebaldino vescovo di Civitate Castellana, (Annalis Pellini part. 3 pag. 268) Fu Vicelegato; questi fu Roberto Tribaldeschi, o Tebaldeschi romano, ma originario di Norcia, il quale non fu mai vescovo di Civitate Castellana, ma bensì Civitatense, o sia Civitate nel Regno di Napoli, alla qual Chiesa fu eletto il 23 Giugno 1505. (Ughelli ital. sacr. in Episc. Civitatensibus num. 23 op. T. VIII. col. 273). Nel V° registro de' Brevi della cancelleria Decemvirale al foglio 34 sono registrate alcune leggi da lui fatte pel Governo del Magistrato il di primo Aprile 1512, e in essa s'intitola Vescovo Civitatense, e Vicelegato del Cardinal di Pavia Legato di Perugia. Questo Roberto, prima di essere Ecclesiastico aveva avuto moglie, e da questo matrimonio ebbe Giulio Cesare Dottore, il quale prese per moglie nel 1514 Lorenza figlia di Pietro Paolo Giocchi del Monte San Savino, come costa da Istrumento rogato da Dario di Ridolfi Costanzi, sotto il di 9 Ottobre 1514 nell'Archivio Perugino. In una sentenza di esso data il di 7 Ottobre 1512, s'intitola Reverendissimi Domini A tit. S. Vitale Presb. Card. Papiens Perusiae ec. Legati de Latere Locumtenens Generalis (Matric.de' Pollajoli a cart. 53)"[22].

Nel 1508 Giulio II lo nominò governatore di Benevento, e, dopo due anni venne nominato vice-legato di Perugia nella legazione del cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte.

Mons. Roberto, si fece subito apprezzare dal cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte, tant'è che questi per la stima che nutriva nei suoi confronti, diede in sposa una sua nipote Lorenza, figlia di suo fratello Pier Paolo Ciocchi del Monte, allora gonfaloniere di Perugia, al figlio di mons. Roberto Tibaldeschi, Giulio Cesare, il quale sposò a Perugia nel 1514 Lorenza.[23]

Mons. Roberto Tibaldeschi fu incaricato dal pontefice Leone X con Bolla del 1515, per un delicato compito, ossia di indagare sui presunti malcostumi e abitudini delle monache dell'ex Convento di San Francesco Offida. Mons. Roberto Tibaldeschi morì nel 1517, nella sua sede episcopale di Civitate, vedi Diocesi di San Severo, nell'elenco dei vescovi di Civitate.

Giulio Cesare Tibaldeschi

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Giulio Cesare Tibaldeschi, nobile di Ferentino, nacque a Norcia nel 1492 dal nobile romano Roberto Tibaldeschi e da donna Laura e morì nel 1569 a Ferentino.

Subito dopo qualche anno dalla sua nascita fu condotto a Ferentino, dove suo padre, nel 1493, era stato nominato rettore e giudice generale di Marittima e Campagnao. Rimase in questo paese fino al 1505, anno in cui suo padre Roberto rimase vedovo. Poté così abbracciare la vita ecclesiastica, il Pontefice Giulio II lo nominò vescovo di Civitate nel Regno di Napoli, ruolo che ricoprì dal 1505 al 1517.

Nel 1510 suo padre divenne vice-legato di Perugia, nella legazione del cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte, così Giulio Cesare poté finire nel 1512 gli studi universitari nelle città di Perugia. A Perugia, frequentando la casa dei del Monte, conobbe la nobildonna Lorenza, figlia di Pier Paolo Ciocchi del Monte e Maria Soggi.

Nel 1514 sposò Lorenza Ciocchi del Monte[24], matrimonio celebrato a Perugia dal cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte di San Savino, zio di Lorenza, e da mons. Roberto Tibaldeschi padre di Giulio Cesare.

Nel 1515, Giulio Cesare ritornò nelle sue case e nei suoi terreni di Ferentino, e dove vi era anche il ricordo di sua madre donna Laura, morta nel 1503.

Stampa raffigurante S.E. mons. Roberto Tibaldeschi di Norcia, vescovo di Civitate nel regno di Napoli (1505-1517), già Rettore e Giudice Generale di Marittima e Campagna (1498-1505).

Dal matrimonio tra il dott. Giulio Cesare e Lorenza nacquero: Aurelio, vescovo di Ferentino, Fabrizio, Vincenzo, governatore di Ferentino e Cornelia.

Secondo alcuni rogiti notarli risulta che Giulio Cesare, dal 1515 al 1568 stipula degli atti[25].

Nel 1516 affitta a degli agricoltori, alcuni mulini di sua proprietà, posti nel territorio di Ferentino, sul fiume Alapro. Nel 1526 acquista tutti i diritti e azioni sui mulini posti lungo il corso dell'Alapro, compresa la mola da piedi di Vangelista[26].

L'11 marzo 1560, il dott. Giulio Cesare Tibaldeschi di Ferentino, cittadino romano, rinuncia a favore del figlio il magnifico Vincenzo Tibaldeschi e del nobile signore Gerolamo de Teodini, circa i beni e spogli del fu rev. Eliseo Teodini, già vescovo di Sora, così dal rogito: "Il magnifico Giulio Cesare Tibaldeschi di Ferentino, cittadino romano, cessionario degli spogli del fu rev. Eliseo Teodini, già vescovo di Sora, dalla reverenda camera apostolica, di circa venti anni volendo rinunziare a favore del figlio il magnifico Vincenzo Tibaldeschi e del nobile signore Girolamo de Teodini, con pronuncia del vescovo dio Ferentino Aurelio Tibaldeschi, approva ogni cosa e spontaneamente e rimette ad Elena de Teodini, assente, ma per essa al marito Girolamo, ogni cosa sugli spogli sopraddetti, già rogati per mano dell'egregio notaio Pellegrino Colsi di Arpino.

Atto rogato in Ferentino, nel palazzo episcopale, nella camera del vescovo, alla presenza del signor Albano de Bellis cittadino di Opsoniano (Orsogna- Chieti), Ercole de Bellis di Arpino e Camilo di Rahonte di Ferentino"[27]

Il 21 luglio 1568 il dott. Giulio Cesare nobile romano costituisce suoi procuratori i sig. Giliberto Rossi di Santo Padre e Pietro Carusio di Bistagno (Alessandria) per tutte le cause che ha sopra gli spogli del fu reverendissimo don Eliseo de Teodini, già vescovo di Sora, da questo rogito notarile (procura) si evince che Giulio Cesare, viene descritto dal notaio anche con il cognome della moglie così dal rogito: "Il signor Giulio Cesare Tibaldeschi de Monte, di Ferentino, spontaneamente costituisce come suoi procuratori generali i signori Giliberto Rossi di Santo Padre e Pietro Caruso di Bistagno (Alessandria) per tutte le cause che ha sopra gli spogli del fu Rev. D. Elisio vescovo di Sora, concessi dalla reverenda camera apostolica.

Atto in Ferentino nel palazzo della cancelleria alla presenza dei testimoni …. e Domenico de Domenicis di Cave, abitante in Ferentino[28].

Giulio Cesare morì a Ferentino nel dicembre del 1569.

Aurelio Tibaldeschi, nob. di Ferentino, nacque a Ferentino nel 1516, dal nobile romano dott. Giulio Cesare e dalla nobildonna Lorenza Ciocchi del Monte di San Savino (figlia di Pier Paolo Gonfaloniere di Perugia e della nobildonna Maria Soggi).

Frequenta gli studi a Roma, dove la sua nobile famiglia aveva poderi e case, tornato a Ferentino ben presto viene insignito del cavalierato Gerosolimitano san Giovanni in Gerusalemme (oggi detti cavalieri di Malta), divenendo così fra Aurelio. Fu Nipote al pontefice Giulio III (1550 - + 1555 Roma), e del Gran Maestro dell'Ordine di Malta Pietro del Monte (1568 - + 1572 Valletta).

Nel 1540 lo vediamo nominato in un rogito notarile come commendatario della commenda melitensi di s. Leonardo di Sezze[29].

Successivamente lo ritroviamo nominato in un rogito notarile del 1548 come cavaliere gerosolimitano e commendatario della commenda melitensi di s. Giacomo in Ferentino.

Prima di lui reggeva la suddetta Commenda fra Ottaviano di Montenero (Perugia), il quale tramite il suo procuratore Cinzio Filonardi di Bauco, affitta i beni della chiesa di S. Giovanni della città di Veroli, spettanti alla commenda di S. Giacomo di Ferentino[30].

Il 30 aprile 1554 venne consacrato vescovo di Ferentino, da suo zio papa Giulio III del Monte, notizia confermata dallo storico F. Ughelli[31].

Successivamente lo ritroviamo su un altro rogito notarile del 5 luglio 1563, come vescovo di Ferentino e commendatario della commenda melitensi di S. Giacomo, posta nella medesima città[32].

Lo storico B. del Pozzo, nella storia: "ruolo de' cavalieri gerosolimitani della veneranda lingua italiana" parlando di mons. Aurelio lo descrive così: "Anno 1554, fra Fabrizio Aurelio Tibaldeschi vescovo, commendatore d'Albarese e di S. Giustiniano di Perugia"[33].

Anche lo storico araldico Teodoro Amayden, nella "storia delle famiglie romane, alla voce Tibaldeschi" lo chiama Fabrizio, confondendolo con il fratello, e pone la data di creazione al cavalierato gerosolimitano al 1554[34].

Entrambi questi due storici suddetti: "B. Del Pozzo e T. Amayden", confondono Aurelio, con il fratello Fabrizio, e pongono la data di creazione al cavalierato Jetrosolimitano nel 1554, data smentita da questi due documenti suddetti rinvenuti nell'archivio storico comunale e notarile della città di Ferentino, i quali menzionano che Aurelio era già cavaliere gerosolimitano nel 1544; la data del 1554, riguarda solo la consacrazione di Aurelio a vescovo di Ferentino[35].

Durante l'episcopato di mons. Aurelio Tibaldeschi ci fu la famosa guerra di Campagna (1556-1557), la quale terminò con il concordato di Cave il (12 settembre 1557), poco prima, la battaglia di s. Quintino, aveva assicurato agli spagnoli il predominio in Europa.

Lo storico dei papi, Ludovico Pastor, definì la guerra di Campagna "una disgraziata guerra"[36].

Un altro storico, Hertling[37] la definì "una guerra quasi ridicola", eppure, come tutte le guerre, portò nelle nostre zone[( Campagna e Marittima)] morte, soprusi e distruzione.

Mons. Aurelio Tibaldeschi nel 1574 fu nominato da papa Gregorio XIII, commissario e procuratore della venerata Casa di Loreto e di Ancona, successivamente nominato prefetto della Consolazione di Roma[38].

Spesso nei documenti del vescovo Aurelio Tibaldeschi o del fratello Vincenzo, i notai al cognome, paterno Tibaldeschi aggiungevano anche quello materno del Monte divenendo Tibaldeschi del Monte.

Il 20 settembre 1584, mons. Aurelio Tibaldeschi acquista dai suoi cugini di Norcia una casa posta appunto nella terra di Norcia, così dal rogito: "Si sono costituiti, davanti al notaio Orazio Gerardi di Ferentino, i signori Gerolamo, Giulio, Roberto e Annibale dei Tibaldeschi dio Norcia, residenti in Ferentino, i quali vendono al reverendo Aurelio Tibaldeschi, vescovo di Ferentino, una loro casa, composta da diverse stanze, posta nella terra di Norcia, nella parrocchia di Santa Maria, vicino ai beni di Antonio Argentieri, il ponte di mezzo e la via pubblica ai quattro lati, per il definitivo prezzo di ducati 263, i quali dichiarano di aver ricevuto, esclusa la somma di scudi 162 data al procuratore Tiberio Cerrini per la dote di donna Porzia, sorella germana dei venditori. Fatti salvi i diritti della loro madre donna Silvia Accursi.

Atto nel palazzo episcopale di Ferentino, alla presenza dei testimoni signor Antonio Campo e Pietro da Cascia"[39].

Mons. Auirelio Tibaldeschi era nipote di Papa Giulio III e, di Pietro del Monte Gran Maestro dell'Ordine di Malta (1568-1572 + Valletta).

Il 7 gennaio 1585, mons. Aurelio Tibaldeschi, nomina suo procuratore il sig. don Francesco, abitante in Supino, circa le case e terreni dentro la città di Norcia, così dal rogito: "L'illustrissimo e reverendissimo don Aurelio dei Tibaldeschi de Monte, per grazia di Dio e della Sede Apostolica, vescovo di Ferentino, non potendo personalmente curare i propri interessi a causa della distanza del luogo ed impedito dai suoi grandi ed impegnativi negozi, nomina suo procuratore generale, il signor don Francesco, abitante in Supino, per le case site dentro la città di Norcia, dandogli le più ampie facoltà[40].

Mons. Aurelio Tibaldeschi morì a Roma il 2 maggio 1585; notizia appresa da un rogito notarile a favore di suo fratello Vincenzo, il quale rinuncia all'eredità di mons. Aurelio Tibaldeschi, suo germano fratello, così dal rogito: "L'illustrissimo signore Vincenzo Tibaldeschi, avendo conoscenza della morte di suo fratello, reverendo Aurelio, avvenuta nel mese di maggio 1585, senza aver fatto testamento, e non avendo il reverendo lasciato figli né naturali che gli possano succedere, conoscendo che l'eredità gli possa essere di danno, ripudia tale eredità. Atto rogato nella cancelleria civile della città di Ferentino alla presenza dei testimoni signor Silvestro Pagella e Giovanni Antonio Masi"[41].

Vincenzo Tibaldeschi, nob. di Ferentino, governatore di Ferentino, colonello del re di Francia nella guerra di Siena, del re Filippo II di Spagna, e generale delle battaglie del Papa Giulio III, suo zio consobrino[42].

Divenne il capostipite del ramo di Ferentino, fu Fratello del Vescovo Aurelio e di Fabrizio, morto fanciullo, e di Cornelia sp. con Matteo Paonio di Veroli.

Nacque a Ferentino nel 1522, dal nobile romano Giulio Cesare e Lorenza Ciocchi del Monte, studio a Roma dove la sua nobile famiglia aveva poderi e case, finito gli studi si arruolo nell'esercito pontificio fino a diventare colonello. Fu nipote del pontefice Giulio III, (1550 - +1555 Roma), e del Gran Maestro dell'Ordine di Malta Pietro del Monte (1568- +1572 Valletta).

Vincenzo, tornato a Ferentino sp. Clarice Teodino di Arpino (sorella del vescovo di Sora Eliseo Teodini), da questo matrimonio nacquero: Giulio Cesare II, Faustina, monaca, Vestilia, sp. con Pietro Caetani signore di Maenza.

Durante la guerra di Campagna (1556-1557) fu di sostegno a suo fratello Aurelio, vescovo di Ferentino, per i suoi meriti fu nominato da Marcantonio Colonna, capitano a guerra e Governatore di Ferentino[43].

Nel 1570 vediamo Vincenzo Tibaldeschi menzionato in un rogito notarile come Giudice in una sentenza, così dal rogito: "In nomine Domine amen. Noi Vincenzo Tebaldescho Arbitro / et Arbitratore, et Giudice"[44].

Nel 1587, lo ritroviamo menzionato su di un rogito notarile come Governatore della città di Ferentino, così dal rogito: "Il Governatore della città di Ferentino Vincenzo Tibaldeschi, emette sentenza per una lite intercorsa tra la comunità di Ferentino e Nicola Antonio Raoni, rettore degli studi nella medesima città"[45].

In un altro rogito notarile (procura) del 17 luglio 1590, Vincenzo, viene menzionato dal notaio anche con il cognome della madre, così dal rogito: "Il nobile ed Illustre signore Vincenzo Tibaldesco de Monte di Ferentino, cittadino romano, figlio del fu signor Giulio Cesare di Ferentino nomina suo procuratore il signor Onofrio Tempesta, romano, figlio del fu Vespasiano di Ferentino, romano, per la costituzione di un censo di scudi quarantadue e mezzo, per la casa posta nella regione Pigna, vicino all'arco di Camilliano, con il consenso di Clarice Teodini di Arpino, sua moglie"[46].

Il 12 maggio 1590, donna Clarice Teodini, moglie di Vincenzo Tibaldeschi fa redigere il proprio testamento; ordina di essere seppellita nella chiesa di s. Francesco di Ferentino nella sua cappella gentilizia di famiglia Tibaldeschi concessa a Vincenzo Tibaldeschi[47].

Nel 1603 Vincenzo Tibaldeschi fa testamento; ordina di essere seppellito nella chiesa di s. Francesco in Ferentino, nel sepolcro gentilizio della sua famiglia, inoltre istituisce un fidecommesso chiamato (primogenitura Tibalbeschi), il quale impone che i beni vengano amministrati dal primogenito della famiglia, in mancanza della linea maschile, succede la linea femminile.

Lascia suo erede universale il figlio legittimo Giulio Cesare II di tutti i beni mobili e stabili ovunque esistenti. Ordina che la tenuta delle mole debba essere sempre di un "filio qui vocari debent de domo tibaldesca"[48].

Il 24 agosto 1614 il magnifico Vincenzo Tibaldeschi, essendo molto malato, fa aggiungere un codicillo al proprio testamento, nomina l'illustrissimo e reverendissimo Ennio Filonardi, vescovo di Ferentino e l'illustrissimo signore Alessandro Caetani tutori e curatori dei beni assegnati alla figlia Vestilia, ed ai nipoti Orazio e Aurelio II, figli di Giulio Cesare II, e ai pronipoti[49].

Vincenzo muore nel 1614 e viene sepolto nella sua cappella posta nella chiesa di s. Francesco di Ferentino.

Giulio Cesare II

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Giulio Cesare Tibaldeschi, nob. di Ferentino, nacque a Ferentino nel 1547 dal nobile romano Vincenzo Tibaldeschi, e dalla nobildonna Clarice Teodini di Arpino.

Fu mandato a studiare a Roma, tornato a Ferentino sp. la nobildonna Giulia Conti di Ancona da cui: Lorenzo, Lorenza, Aurelio II, sp. Vittoria, Orazio.

Nel 1578, Giulio Cesare II, acquista una possessione nel territorio di Ferentino, così dal rogito notarile: "Battista Ionuli di S. Luca di Alatri vende, a Giulio Cesare Tibaldeschi, una possessione posta nel territorio di Ferentino, in contrata la Fontana Carità, vicino ai beni di Domenico Umile, i beni della cappella di San Barnaba, i beni della chiesa di S. Valentino, la via ed altri confini, per scudi sei"[50].

In un altro rogito notarile del 1596 (ratifica di vendita), sappiamo che Giulio Cesare Tibaldeschi, nel medesimo anno risulta morto, ed i suoi figli vanno a ratificare due strumenti di vendita, così dal rogito: "Ratifica di due documenti di vendita fatta dai signori Tibaldeschi, Lorenzo, Aurelio, Orazio, figli del fu Giulio Cesare e nipoti di Vincenzo, romani ed abitanti in Ferentino, su una casa ubicata in Roma, nella Regione Pigna, di fronte alla porta grande del palazzo S. Marco[51].

Quindi Giulio Cesare II morì nel 1596, successero a questi: Lorenzo che ebbe a figlio Bartolomeo, il quale non ebbe prole; Lorenza sp. con il conte Guido Conti; Vittoria vesti l'abito monastico; Orazio rimase scapolo; Aurelio sp. nel 1614 Antilia Iacobilli.

Giulio Cesare II, morì nel 1596, venne tumulato nella cappella gentilizia di famiglia, posta nella Chiesa di S. Francesco in Ferentino.

Aurelio Tibaldeschi, nob. di Ferentino, nacque nel 1581 dal nobile romano Giulio Cesare II e, dalla nobildonna Giulia Conti di Ancona.

Fu mandato a studiare a Roma, come era consuetudine della famiglia Tibaldeschi; tornato a Ferentino sp. nel 1616 donna Antilia Iacobilli figlia di Ascanio,[52], da cui: Ascanio, Carlo, Giulio Cesare III, Vincenzo, Giulia e Anna.

Nel 1614 viene nominato capo priore del consiglio comunale di Ferentino, nel medesimo anno lo vediamo nominato rettore della scuola Martino Filetico di Ferentino.

In un rogito notarile del 1630, sappiamo che Aurelio II era già morto, così dal documento: "L'illustrissimo signore Ascanio, figlio del fu Aurelio Tibaldeschi, romano, cittadino di Ferentino, nomina suo procuratore il fratello Carlo"[53].

Ascanio, primogenito di Aurelio, nel 1626 divenne Maresciallo Capitolino, sp. Angela Mastrangeli, da cui: Domenico Antonio, chierico, e Giuseppe, entrambi non ebbero prole.

Carlo secondogenito di Aurelio II, sposato con Felicissima Cortina, da cui: Aurelio III, il quale non ebbe prole, morì 1699.

Vincenzo II, figlio di Aurelio II, generò Cristoforo, il quale non ebbe prole.

Giulia ed Anna, figlie di Aurelio II, vestirono l'abito monastico.

Giulio Cesare III, figlio di Aurelio II, sp. Domitilla Angelilli, figlia di Pompeo, da cui: Bonaventutra, Girolamo, Francesco Antonio, Filippo, Attilia.

Aurelio II, morì nel 1630, viene tumulato nella cappella gentilizia di famiglia Tibaldeschi, posta nella Chiesa di San Francesco in Ferentino.

Giulio Cesare III

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Giulio Cesare Tibaldeschi, nob. di Ferentino, nacque a Ferentino nel 1612, dal nobile romano Aurelio II e dalla nobildonna Antilia Iacobilli.

Fu mandato a studiare a Roma dove la sua nobile famiglia aveva poderi e case.

Tornato a Ferentino sp. donna Domitilla Angelilli, da cui: Bonaventura, Girolamo, Francesco Antonio, Filippo e Attilia.

Nel 1666, lo vediamo menzionato su di un rogito notarile insieme ai suoi fratelli e nipoti, nella vendita di un terreno posto nel territorio di Ferentino lasciatogli in eredità da suo fratello Carlo, così dal rogito: "Si sono costituiti personalmente davanti al notaio gli illustrissimi signori Ascanio e Giulio Cesare dei Tibaldeschi, figli del fu Aurelio, nobile romano, e gli illustrissimi signori Aurelio Tibaldeschi del fu Carlo, e Giuseppe Tibaldeschi, maggiore di anni 25 e il chierico Domenico Antonio Tibaldeschi, maggiore di anni 23, figli del signor Ascanio i quali, al fine di chiudere la vertenza di scudi 80 da dare alla comunità di Ferentino, per debiti contratti da Carlo allorché ricopriva la carica di priore, ed avendo loro ereditato i beni di detto Carlo, stabilirono di vendere, al signor Giovanni Mario di Ferentino, per scudi ottanta, un loro terreno ereditario, della capacità di quarte cinque e mezzo, posto nel territorio di Ferentino, in contrata Monte Rave, vicino ai beni di Cesare Nigrelli, i beni di suor Anna Tibaldeschi e la fraterna di Supino"[54].

In un rogito notarile del 28 settembre 1693, veniamo a sapere che il nobiluomo Giulio Cesare III era già defunto nel medesimo anno, così dal rogito: "Alla presenza del governatore di Ferentino Rocca Pompei la signora Domitilla, vedova di Giulio Cesare Tibaldeschi e del figlio Francesco Antonio ed anche a nome degli altri figli Bonaventura, Girolamo e Attilia stabiliscono di costituire un patrimonio al chierico Filippo Tibaldeschi, che da dieci anni esercita il servizio di musicista nella Basilica Vaticana, per la sua futura ordinazione sacerdotale"[55].

Giulio Cesare III, morì nel 1693, fu sepolto nella cappella di famiglia Tibaldeschi, posta nella Chiesa di S. Francesco in Ferentino.

Il primogenito di Giulio Cesare III, Bonaventura Tibaldeschi sp. donna Angela da cui: Anna Gaetana, la quale sp. il nobiluomo Pio Mastrozzi, questa non ebbero prole.

Il secondo genito di Giulio Cesare, Girolamo, divenne prete; il terzo Francesco Antonio rimase scapolo; Filippo divenne musicista della Basilica Vaticana, e prete; mentre Attilia sp. l'avvocato concistoriale Girolamo Ecoli, da questo matrimonio nacque nel 1701 Nicolina.

Il 13 gennaio 1749 Anna Gaetana, Figlia di Bonaventura Tibaldeschi, ereditò la primogenitura Tibaldeschi di Ferentino, tale si rivela da un rogito notarile (Concordia fra l'illustrissima donna Anna Gaetana Tibaldeschi Mastrozzi e il signor Filippo Getti), così dal rogito: "Davanti al Rev. don Bartolomeo Bitozzi, canonico, e dottore utriusque juris, protonotario apostolico e giudice ordinario di mons. Fabrizio Borgia, vescovo di Ferentino, si è costituita personalmente l'illustrissima signora Anna Gaetana Tibaldeschi, figlia del fu Bonaventura, romana, ora abitante in Ferentino, moglie del signor Pio Mastrozzi la quale, con il consenso del marito stipula l'atto di concordia sopra un molino a grano e tenuta avuta da un atto di primogenitura ordinata dal fu Vincenzo seniore Tibaldeschi, rilasciato al padre Bonaventura ed a Girolamo suo fratello, con i signori Ghetti, De Andreis ed altri, possessori di alcuni beni insistenti nella primogenitura e ricevendone in cambio scudi duecento.

Atto in Ferentino nella casa di Anna Gaetana, alla presenza dei testimoni Filippo Ghetti del fu Francesco Antonio ed rev. d. Gaetano Pompili di Giovanni Pietro entrambi di Ferentino.[56]

In un altro rogito notarile del 19 giugno 1751, veniamo a sapere la lite per la Primogenitura Tibaldeschi, tra Anna Gaetana Tibaldeschi e Attilia Tibaldeschi, sorella del padre di Anna Gaetana.

Attilia apre la lite in Sacra Rota, esponendo il Fedecommesso della Primogenitura il quale imponeva qualora in mancanza di discendenza maschile subentrava la discendenza femminine, quindi Attilia era la prima femmina diretta della famiglia Tibaldeschi; la Sacra Rota si pronunciò in suo favore.

L'illustrissima donna Attilia Tibaldeschi, vedova del fu Girolamo Ercoli, avvocato concistoriale, essendo stata nominata erede della Primogenitura Tibaldeschi, istituita da fu Vincenzo seniore Tibaldeschi, con testamento del 9 marzo 1753, istituisce una nuova Primogenitura a favore del nipote Girolamo Filonardi.

figlio di Francesco e di donna Nicola Ercoli Tibaldeschi, ed eredi, inoltre Attilioa Tibaldeschi impone al nipote di aggiungere al proprio cognome il cognome Tibaldeschi, divenendo Filonardi Tibaldeschi, quindi Girolamo diventerà il capostipite di questa famiglia di Ferentino, il quale erediterà tutte le sostanze e tradizioni dell'antichissimo casato dei Tibaldeschi (vedi testamento di Attilia in nota 57).

Attilia Tibaldeschi, nobildonna di Ferentino, nacque a Ferentino nel 1676, da nobiluomo Giulio Cesare III, e da donna Domitilla Angelilli.

Fu mandata a studiare a Roma, come era consuetudine della nobile famiglia Tibaldeschi.

Tornata a Ferentino, sp. nel 1700, l'avvocato concistoriale Girolamo Ercoli da cui: Nicolina, nel 1701.

Attilia fu nominata dalla Sacra Rota (1753) erede universale dei beni fidecommesso della famiglia Tibaldeschi.

Il 9 marzo 1753 l'illustrissima donna Attilia, vedova del fu avvocato concistoriale Girolamo Ercoli, istituisce una nuova Primogenitura a favore di suo nipote Girolamo Filonardi, figlio al nobiluomo Francesco Filonardi dei marchesi Filonardi di Veroli, e la nobildonna Nicolina Ercoli Tibaldeschi, unica figlia di Attilia.

Questa secondo la sua volontà testamentaria, impone a suo nipote Girolamo Filonardi, di aggiungere al proprio il cognome Tibaldeschi, divenendo: Filonardi Tibaldeschi, quindi Girolamo diventerà il capostipite dalla famiglia Filonardi Tibaldeschi di Ferentino, ereditando tutte le sostanze e tradizione della nobilissima ed antichissima famiglia Tibaldeschi di Ferentino.

Il testamento di Attilia e molto importante ai fini storici genealogici, e vicissitudini della famiglia Tibaldeschi di Ferentino, (vedi testamento di Attilia in nota[57]).

La famiglia Tibaldeschi di Ferentino nel 1746, cioè nel periodo di Attilia, rientrò nell'elenco del libro d'oro delle famiglie patrizie romane, e mantenuta fra le nobili famiglie di Ferentino, in virtù della Bolla Benedettina (Urbum Romam) emanata dal Pontefice Benedetto XIV.

Attilia morì nel 1745, e venne tumulata nella cappella gentilizia della famiglia Tibaldeschi, posta nella chiesa di San Francesco in Ferentino.

Nicolina Ercoli Tibaldeschi, nobildonna di Ferentino, nacque a Ferentino nel 1701 + 1777, dal nobiluomo Girolamo Ercoli e la nobildonna Attilia Tibaldeschi (figlia di Giulio Cesare III Tibaldeschi, e Domitilla Angelilli).

Fu mandata a studiare a Roma come era consuetudine della nobile famiglia. Tornata a Ferentino sp. nel 1730 il nobiluomo Francesco Filonardi (figlio del marchese Giulio Cesare Filonardi di Veroli), da questo matrimonio nacque Girolamo.

Francesco patrizio verolano, si trasferì a Ferentino, divenendo col tempo capo conservatore del consiglio comunale di Ferentino nel 1763.[58]

Donna Nicolina Ercoli Tibaldeschi viene menzionata anche nell'album del patriziato di Veroli, citata così: "Nicolina erede della Casa Tibaldeschi di Ferentino, Casa, che auto cavalieri di Malta di processo moglie di Francesco Filonardi".[59]

Nicola morì a Ferentino nel 1777, e venne tumulata nella sua cappella gentilizia posta nella chiesa di San Francesco di Ferentino.

Girolamo Filonardi Tibaldeschi, nob. di Ferentino, capostipite della famiglia Filonardi Tibaldeschi di Ferentino.: (vedi su Wikipedia: famiglia Filonardi, ramo Filonardi Tibaldeschi di Ferentino)

Nacque a Ferentino nel 1740 + 1785, da Francesco Filonardi, patrizio verolano, dei marchesi Filonardi, e dalla nobildonna Nicolina Ercoli Tibaldeschi.

Fu mandato a studiare a Roma, finito gli studi si arruolò nell'esercito pontificio e raggiunse il grado di capitano tenente.

Stemma famiglia Filonardi Tibaldeschi.Lo stemma Filonardi Tibaldeschi nasce nel 1750, quando questi due casati si uniscono in tutt'uno, tramite il matrimonio di Nicolina Ercoli Tibaldeschi e Francesco Filonardi. Da questo matrimonio nacque Girolamo, che diventerà il capostipite della famiglia Filonardi Tibaldeschi.

Girolamo nel 1754 fu nominato erede universale del casato Tibaldeschi di Ferentino, (vedi testamento di Attilia in nota 57),[60].

In un rogito notarile del 1758, vediamo Girolamo già possessore di tutti i beni pervenutogli da sua nonna materna Attilia Tibaldeschi, così dal rogito: "Enfiteusi terreni, Illustrissimo D. Girolamo Filonardi de' Tibaldeschi, oggi legittimo erede e possessore di tutto l'asse ereditario dell'antica e nobilissima famiglia Tibaldeschi"[61].

Nel 1759, sp. in primi voti Rosa Ancarani, nobildonna romana (figlia di Carlo Ancarani nobile del Sacro Romano Impero), nata a Roma nel 1730 - + 1772 Ferentino.

Da questo matrimonio nacquero: Anna e Aurelio.

Anna nacque a Ferentino nel 1759 -+ 1803 Ferentino, sp. il dott. Fisico Romualdo Necci, da cui Domenico e Francesco.

Aurelio nacque a Ferentino nel 1763 - + 1796 a Ferentino, nel 1786 divenne capo conservatore del consiglio comunale di Ferentino[62], Aurelio rimase scapolo.

Aurelio morì nel 1796, fu tumulato nella cappella gentilizia di Famiglia, posta nella Chiesa di San Francesco in Ferentino.

Girolamo nel 1773 sp in secondi voti Saveria Mastrangeli, (figlia di Orlando di Ferentino) da cui Anna 1774; Vincenzo 1775 - + 1805 a Ferentino; Antonio 1777 - +1831 a Ferentino; Giovanni Battista 1780 -+1839 a Ferentino.

Girolamo morì nel 1785, fu tumulato nella cappella gentilizio di famiglia Tibaldeschi, posta nella Chiesa di San Francesco in Ferentino.

Giovan Battista

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Giovanni Battista Filonardi Tibaldeschi, nob. di Ferentino, nacque a Ferentino nel 1780 dal nobiluomo Girolamo Filonardi Tibaldeschi e Saveria Mastrangeli, sp. in primi voti nel 1812 Angela Caliciotti, questa non ebbe prole, e morì nel 1817.

Nel 1818 Giovan. Battista, sp. in secondi voti donna Rosalba, da cui: Alessandro, nato a Ferentino nel 1818 - +1850 a Ferentino; Liborio, nato a Ferentino nel 1822 - +1871 a Ferentino; di questi due figli di Giovanni Battista, solo Alessandro ebbe prole.

Giovanni Battista fu nominato erede della primogenitura Tibaldeschi, infatti il 25 dicembre 1804 fa ratificare la donazione attinente alla primogenitura Tibaldeschi di Ferentino, così dal rogito: "In Dei Nomine Amen Anno Domini 1804. Avanti di me notaio e testimoni infrascritti, presente e personalmente l'illustrissimo signore Giovanni Battista Filonardi Tibaldeschi, figlio della buona memoria di Girolamo procreato con Saveria Mastrangeli, seconda moglie legittimamente di detto Girolamo, di questa città, a me cognito spontaneamente intende col presente atto dichiara di fare per sé e per tutti gli futuri chiamati alla primogenitura Filonardi Tibaldeschi"[63].

Giovanni Battista muore a Ferentino il 3 novembre 1839 (Liber mortuorum) del 1839, conservato presso la parrocchia di Santa Maria Maggiore in Ferentino, così dal certificato di morte: "Anno Domini 1839 Die 3 novembris, Joannes Baptista ex marchionibus Filonardi fil. Hieronymus ex hac civitate et parrocchia. Aetatis sue sexaginta circuite anno rum"; fu tumulato nella cappella gentilizia di famiglia Tibaldeschi, posta nella chiesa di San Francesco in Ferentino.

Alessandro Filonardi Tibaldeschi, nob. di Ferentino, nacque a Ferentino il 20 aprile 1819, dal marchese Giovanni Battista Filonardi Tibaldeschi e donna Rosalba.

Nel 1840 sp. in primi voti Anna Maria Collalti, da cui ebbe cinque figli morti dopo qualche mese dalla nascita.

Purtroppo nel 1860 morì anche Anna Maria Collalti, moglie di Alessandro.

Nel 1865 il nobiluomo Alessandro sp. in secondi voti Battista Polletta da cui: Antonio nato a Ferentino nel 1867 - + 1950 a Ferentino; e Maria Luigia, nata a Ferentino nel 1870 - +1952 a Ferentino.

Da un rogito notarile del 1850, circa la nomina di un abate per la Chiesa di San Pietro Ispano, allora giuspatronato della famiglia Filonardi, sappiamo che i fratelli Alessandro e Liborio Filonardi Tibaldeschi, furono scelti come diretti eredi del fidecommesso voluto dal fu cardinale Ennio Filonardi, così dal rogito.: "Nel Nome di Dio così sia. Sotto il Pontificato di Nostro Signore Pio Nono, felicemente Regnante correndo l'Anno quinto.

Rattifica di nomina e presentazione all'Abazia vacante di S. Pietro Ispano di Bauco fatta dai signori Alessandro e Liborio fratelli Filonardi Tibaldeschi in persona del reverendo di sacerdote D. Tommaso Benedetti di Bauco.

A di due agosto milleottocento cinquanta Indizione Romana VIII°.

Avanti di me Pietro Paolo Crescenzi notaio pubblico di residenza in Veroli avente studio in via la Civetta e dei sottoscritti testimoni aventi le qualità legali presenti e personalmente costituiti i signori Alessandro e Liborio fratelli Filonardi Tibaldeschi figli del fu Gio. Battista nativi di Ferentino, ed ivi domiciliati e precariamente dimoranti in Veroli cogniti al signor Ignazio Caja uno dei testimoni sottoscritti a me notaro e cognito, i quali previa loro dichiarazione che veduta vacante l'Abazia della venerabile chiesa di S. Pietro Ispano di Bauco di lor Diretto Patronato per rinuncia o rassegna emessa dall'Abate di essa Chiesa D. Domenico Filonardi con atto notarile a rogito del notaio di Bauco Giovanni Crescenzi registrato a Veroli al vol. 37, fogl. 36., quindi essi signori costituiti fratelli Filonardi Tibaldeschi, di loro piena libera e spontanea volontà ed in ogni altro miglior modo ecc., dichiarandosi costantemente persistenti nella nomina e presentazione fatta a favore del reverendo sacerdote signor D. Tommaso Benedetti prenominato"[64].

In un altro rogito notarile (vendita di terreno) del 1852, veniamo a sapere che Alessandro e Liborio fratelli Filonardi, risultano come industriosi, così dal rogito: "In Nome di Dio, del Pontefice di Nostro Signore Papa Pio IX l'anno VII, Indizione Romana X. Il di poi ventuno giugno mille ottocento cinquantadue.

Avanti di me Arcangelo Rossi Notaio alla residenza di Ferentino, assistito dagli infrascritti Testimoni, abili, e cogniti costituiti personalmente li Sig. Alessandro, e Liborio germani fratelli Filonardi del fu Giovanni Battista da Ferentino industriosi, quivi domiciliati, e cogniti"[65].

Alessandro morì il 4 maggio 1880, tumulato in pubblico cimitero, poiché il decreto di Napoleone allora in vigore vietava la sepoltura nelle chiese.

Antonio Filonardi Tibaldeschi, nob. di Ferentino, nacque a Ferentino il 13 marzo (1867 - + 1949) a Ferentino, dal nobiluomo Alessandro e Battista Polletta, sp. in primi voti nel 1886 Rosa Calacci, da cui: Pietro, nato a Ferentino nel (1887 - + 1966) in America; Arcangelo, nato a Ferentino nel (1892 - + 1962) in America; Emilia, nata a Ferentino nel (1897 - + 1961) in America; Cesare, nato a Ferentino nel (1908 - + 1910) in America; Luigi, nato a Ferentino nel (1908 - + 1982) a Ferentino.

Antonio, nel 1909 si trasferì con tutta la sua famiglia, negli Stati Uniti d'America.

Stabilitosi li per curare alcuni interessi di famiglia, restò per circa quattordici anni.

Tornò a Ferentino solo dopo la morte di sua moglie, Rosa Calacci, avvenuta nel 1922 in America.

Tornato a Ferentino, nel 1923, trovò il suo patrimonio di famiglia dilapidato, in particolar modo si trovò privato del diritto di nomina di un Abate della Chiesa di San Pietro Ispano in Bauco, Attuale Boville Ernica, allora giuspatronato di famiglia dei marchesi Filonardi.

Questo diritto di nomina di un Abate della Chiesa di San Pietro Ispano, fu esercitato per ultimo nel 1850 da suo Alessandro, quindi Antonio citò in giudizio D. Mattia Picarazzi, parroco della Chiesa di San Pietro Ispano di Boville Ernica, con esso anche l'attore della nomina in oggetto.

La motivazione della causa, era il rigetto della nomina, così dall'atto: "In Nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III° per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d'Italia. Il Tribunale di Frosinone, nella causa civile iscritta al N° 917 del relativo registro per l'anno 1923, tra Antonio Filonardi Tibaldeschi, fu Alessandro, domiciliato a Ferentino ed elettivamente in Frosinone nello studio legale del sig. Avvocato Odovardo Di Torrice, e Picarazzi D. Mattia fu Vincenzo Abate e parroco della Chiesa di San Pietro Ispano di Boville Ernica, domiciliato in Frosinone nello studio legale del sig. Avvocato Mario Carbone procuratore che lo rappresenta e difende.

Il sig. Avvocato Di Torrice con una prima comparsa conclude: che piaccia all'illustrissimo Tribunale di Frosinone, ogni contraria istanza, di accogliere la domanda attrice annullando la nomina e presentazione di Don Mattia Picarazzi a parroco di San Pietro Ispano di Boville Ernica illegalmente fatta"[66].

Antonio nel 1927 sp. in secondi voti Maria Reali di Ferentino da cui: Claudio, nato a Ferentino nel 1928 - + 1985 a Ferentino.

Antonio morì nel 1949, e fu sepolto in pubblico cimitero.

Il ramo tuttora in vita di questa antica famiglia, derivante da Vincenzo Tibaldeschi, governatore di Ferentino (1557) e fratello del vescovo di Ferentino Aurelio Tibaldeschi, è quello tuttora presente a Ferentino e che nella metà del XVIII secolo venne denominato Filonardi Tibaldeschi, con la discendenza attuale di Luigi, nato a Ferentino il 1 gennaio 1908 e morto nel 1982, e Claudio, nato a Ferentino nel 1928 e morto nel 1985.

Da Luigi, figlio di Antonio e Calacci Rosa, nacque a Torri in Sabina Carlo Filonardi Tibaldeschi, da cui: Pietro Filonardi Tibaldeschi, nato a Ferentino il 10 gennaio 1966. La famiglia Tibaldeschi di Ferentino, rientrò nell'elenco del libro d'oro della nobiltà italiana del 1922, con il titolo di nobili di Ferentino.

La famiglia Tibaldeschi di Ferentino, rientrò nell'elenco del libro d'oro della nobiltà italiana del 1922, con il titolo di nobili di Ferentino.

Per quando riguarda lo stemma della famiglia Tibaldeschi, sembrerebbe derivare da quello degli Orsini, con colori opposti. Da un manoscritto del 1650 del monaco Fortunato Ciucci, nella "storia di Norcia, ms. ff. 74, archivio storico di Norcia ",sappiamo le origini della famiglia e dello stemma, così dal manoscritto: << Discendono da un certo Tebaldo Orsini, siccome nell'impresa della rosa si vede e perché il detto stava in discordia tra fratelli, lasciò nell'ultimo testamento ai suoi figliuoli, ed eredi, che pigliassero il cognome del suo nome Tebaldo Tebaldeschi, e non volendo ciò eseguire li privava affatto del suo avere, e che ne fosse padrone San Pietro di Roma, e di più li ordinò che mutassero l'arma di colori opposti, come si legge dalle Cronache di D. Virgilio Ursini, e per questo che si vede la loro insegna di colori opposti.


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  2. ^ Fortunato Ciucci:. Istoria di Norcia, ms. ff. 74 archivio storico di Norcia. Apografo del XIX..
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  19. ^ Carlo e Giorgio Tibaldeschi, op. cit. pag. 114.
  20. ^ Giulio Cesare Tibaldeschi sp. Lorenza Ciocchi del Monte di San Savino, cugina di Papa Giulio III. Lorenza era figlia di Pier Paolo, fratello del cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte, nonché fratello di Vincenzo, padre di Giovanni Maria, Futuro Giulio III. Lorenza Ciocchi del Monte volle che i suoi Figliuoli portassero anche il cognome del Monte, unito a quello dei Tibaldeschi divenendo: Tibaldeschi del Monte, questo cognome unito si porto per diverse generazioni, incominciando da Aurelio vescovo di Ferentino (1554-1585), da suo fratello Vincenzo governatore di Ferentino (1557)..
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  22. ^ Annibale Mariotti.: Saggi di Memorie Istoriche Civili ed Ecclesiastiche della Città di Perugia, t. I part. III p. 268, anno 1806..
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  24. ^ Annibale Mariotti.: Saggi di Memorie Istoriche ed Ecclesiastiche della Città di Perugia, t. I, parte II, p. 352, 1806.
  25. ^ Pietro Filonardi Tibaldeschi.: Origini della Nobile Famiglia Tibaldeschi, In Teretum anno XXVI, pp. 2-3, Frosinone 2016.
  26. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Ottaviano Cascese, prot. unico 1515-1527 (570) f. 256 r..
  27. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Mario Albertini, tom I, 1528-1546 (540) f. 18 r..
  28. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Pompeo Cerrioni, prot. II, 1552-1595 (561) f. 6 r. et v..
  29. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Lorenzo Cerrini, prot. unico, 1547-1664 (571), f. 22 r. et v..
  30. ^ ASFr. Fondo notarile di Veroli, not. Giovanni Martelli, prot. 49, ff. 74 v.-75 r..
  31. ^ F. Ughelli.: Italia Sacra vol. I p. 679, Venezia 1777..
  32. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Mario Albertini, prot. III, 1559-1570 (542), f. 82 r..
  33. ^ B. Del Pozzo.: Euolo generale de' cavalieri gerosolimitani della veneranda lingua italiana, Napoli, 1785..
  34. ^ Teodoro Amayden.: La Storia delle Famiglioe Romane, vol. II p. 208 Roma..
  35. ^ Pietro Filonardi Tibaldeschi.: Op. cit..
  36. ^ L. Pastor.: Storia dei Papi, p. 365, Roma 1925 ss..
  37. ^ L. Hertling.: Storia della chiesa, p. 424, Roma 1967.
  38. ^ G. Bono.: Storia di Fererntino illustrata e narrata, ms. XIX sec. B.A.V. VAT. Lat.. 14069, pp. 518-519.
  39. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Orazio Gerardi, prot. unico (584) ff. 30 r. et v.-54 r..
  40. ^ AStF.: Fpondo notarile, not. G. B. Pagella, prot. III, (545) f. 10 r. et v..
  41. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Marzio Masi, prot. unico 1585-1630 (586) f. 46 r..
  42. ^ ASR. Tribunale del Governatrore, vol. 252, anno 1592, c. 518.
  43. ^ AStF, Riformanze, anno 1557.
  44. ^ AStF:: Fondo notarile, not. Giulio Ascanio, prot. unico, 1560-1582 (549). f.13 r..
  45. ^ AStF.: Fondo notarile, not. G. B. Pagella, prot. I (543), f. 27 r..
  46. ^ AStF.: Fondo notarile, not. G. N. Conti, prot. IV, 1581 (566), ff. 27-28 recti et versi..
  47. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Fabrizio Ferrari, prot., IV, 1588-1590 (558) f. 49 v.-50 r..
  48. ^ AStF.: Fondo notarile, not. C. Mario Cocco, prot. unico 1587-1617 (554), f. 20 r. et v.-25 r..
  49. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Silvestro Pagella, prot. V, 1614-1635 (490), f. 45 r. et v..
  50. ^ AStF.: Fondo notarile, not. G. B. Pagella, prot. III, 1591 (545) f. 42 r. et v..
  51. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Silvio Pagella, prot. I 1537-1598 (486) ff. 1 r. 16 v..
  52. ^ Archivio Nicolini di Firenze.: Fondo antico, segnatura 132, inserto 40 vecchia segnatura H4.
  53. ^ AStF.: Fondo notarile, not. G. B. Gossi, prot. III, 1630-1636 (599), f. 54 r. et v..
  54. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Giulio De Andreis, prot.VIII, 1666-1667 (610), ff. 33 v.- 35 v..
  55. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Marsilio Agneo, prot. II, 1681-1695 (753), ff. 43 r.-47 v..
  56. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Simone Giovannone, prot. del 1747 (725), ff. 119 r.-128 r..
  57. ^ AStF.: Fondo notarile not. Giovanni Squanquarilli, prot. 1753-1755 (239), ff. 23 - 25 recti et versi.
    TESTAMENTO DI ATTILIA TIBALDESCHI:
    "In Nomine Amen, Anno Domini 1753 Pontificatus Sanctissimi in Xristo Patris, et Domini Nostri Benedicti divine providentia Papa XIV. Anno 13. Io sottoscritta Attilia Tibaldeschi vedova relitta della buona memoria di Girolamo Ercoli Avvocato concistoriale, e figlia della buona memoria di Giulio Cesare Tibaldeschi figlio di Aurelio figlio d'altro Giulio Cesare, figlio Vincenzo, figlio di Giulio Cesare seniore, abnepota di Monsignor Illustrissimo, e Reverendissimo Aurelio vescovo di questa città di Ferentino, il Quale fu figlio di detto Giulio Cesare seniore, fu cavaliere di Malta, e cugino carnale dei Papa Giulio terzo Pontefice di tal nome, ed in quel tempo, sana per la Dio grazia di corpo e di mente, memoria e intelletto, sapendo essermi mortale, ed ancorché robusta di forza sapendo benissimo avermi un di a morire, senza però sapere l'anno, il mese, il di, e l'ora della mia morte, e non volendo partirmi da questo Mondo senza aver disposto di quelle mie poche sostanze, che Iddio Benedetto per la sua liberalità mi ha conceduto in questa vita, e ciò tanto, per bene dell'anima mia, quando per il buon regolamento della mia dilettissima famiglia di cui lo stesso Dio mi ha fatto Madre, Nonna, e Suocera, perciò ho determinato di fare e faccio, al presente questo mio ultimo testamento nuncupativo in ogni migliore modo che debbo, so e posso, e sia possibile in forma valida e principiando come porta il dovere dall'anima mia questa io la do, dono, e retrocedo al mio Signore Gesù Cristo, vero Iddio, e vero uomo, che la creò, me la diede, e la ricomprò col suo preziosissimo sangue, pregandolo umilmente a volermi perdonare tutti i miei peccati e darmi per sua infinita misericordia, e mera sua divina volontà la gloria del Santo Paradiso, interponendomi a tal effetto presso il medesimo non solo la sua Santissima Madre Vergine Maria mia cara Avvocata col mio S. Angelo custode, S. Francesco d'Assisi, S. Antonio da Padova miei protettori, e S. Ambrogio martire protettore di questa Illustrissima Città di Ferentino, ma soprattutto a li Santissimi meriti della vita, morte e passione dello stesso Redentore, ali quali, e non ali meriti miei affidata spero conseguire la detta gloria del S. Paradiso, intendo poi, e mi protesto espressamente voler morire cristiana qual sono Cattolica, Apostolica Romana, munita di tutti gli dovuti Sancti Sacramenti, quali se me per qualunque caso non potessi chiedere in quel ultimo della mia vita, adesso per allora intendo umilmente domandarli, e con vera fede, devozione e riverenza, riceverli. Item in ordine ali suffragi di messe, e funerali secondo il rito di S. Madre Chiesa da far celebrare seguita la separazione delle anima mia dal corpo, ne lascio tutta la cura, e pensiero alla mia dilettissima figlia Nicola, al mio carissimo genero Francesco Filonardi, ed al mio amatissimo nipote Girolamo, essendomi ben noto il loro svisceratissimo filiale amore. Il corpo però voglio voglio sia esposto con quella pompa che parerà ali suddetti nella Venerabile Chiesa dei Reverendi Padri dei Minori Conventuali di S. Francesco di questa Città, e sepolta colli mie antenati in detta Chiesa nella sepoltura della mia casa Tibaldeschi perché così e non altrimenti. Item, e perché Vincenzo Tibaldeschi, e Clarice Teodini sua moglie, e miei abavi vi fecero legato di scudi cinquanta per ciascuno in tutto, scudi cento a favore di detti Reverendi Padri, e che come suddetta con alcuni pesi come nei loro testamenti ali quali e dei quali scudi cento ne perorano detti eredi e successore dei detti ed Antecessori miei a favore di essi Reverendi Padri e Chiesa, qual censo di tal creazione a molti anni fecero detti miei Antecessori richiamare con varie sentenze de' tribunali di Roma de contro la quale li Padri di detta Chiesa di quel tempo ottennero al Sommo Pontefice la riduzione degli obblighi, e pesi che vi erano, annessi come sopra, ed in seguito fin da quel tempo cessarono di celebrare, e soddisfare in specie li pesi delle messe. Io però voglio, ed espressamente comando al mio Erede infrascritto, che dandosi mai caso io premorissi prima d'aver aggiustata questa partita cogli Reverendi Padri di detta Chiesa esso mio Erede debba dare, e liberamente consegnare agli medesimi non ostante qualunque sentenza a mio favore come sopra scudi trecento sessanta, cioè per reintegrazione di detto censo, o due legati come sopra scudi cento sessanta, acciò questi rivestendosi ritorni a detti Padri il fruttato di scudi otto annui come prima, e gli scudi duecento siano, o per pesi soddisfatti, e non pagati prima delle riduzioni suddetta, o per qualunque altra spesa, che avessero nella lite prima di tal riduzione sofferta, o per qualunque altro titolo ed in specie di donazione, remunerazione, e gratitudine, e particolarmente per le moltissime mie obbligazioni, che ho al Molto Reverendo Padre Modesto Simbolotti Padre di detto Convento, che con tante sue fatiche ha patrocinato la mia causa magna, e me l'ha superata contro la mia per altro dilettissima Nipote, e tutto ciò perché cosi e volendo però che detti Padri, e Chiesa, riassumono li detti pesi, e proseguivano poi a soddisfarli in appresso in perpetuo. Item e perché ancora li detti Padri e convento posseggono un rubbio di terra dentro la tenuta magna in contrata la mola da piedi spettante alla primogenitura di mia casa Tibaldeschi ordinata ed istituita dalla bona memoria del detto mio abavo Vincenzo, quale preveggio benissimo, che un di o il mio infrascritto erede, o gli successori ne possano spogliare detto convento, come che la compra da loro fatta sia di gran lunga posteriore alle istituzioni di detta primogenitura perciò voglio, e comando per l'istesso titolo di amorevolezza di sopra, che dandosi caso che io prima della mia morte non avessi colli medesimi trattato ed aggiustato un tale affare, debba il mio erede, dare e liberamente consegnare alli medesimi Reverendi Padri del suddetto convento scudi cento e cinquanta per la recuperazione di detto terreno, quali il convento sborsò per la compra, che per altro malamente ne fece, e voglio che in caso non rivolessero detti Padri detta somma, il mio erede gliene faccia l'offerta con atto pubblico per ragioni di questa mia determinazione acciò in perpetuo costi la mia buona volontà. Item dichiaro, che tanto per li scudi trecento sessanta quanto per scudi cento cinque da darsi dal mio erede a detto convento e Padri come sopra non v'abbia, ne possa avere verun di falco nelle spese da me fatte nell'ombrellino di damasco negli due baldacchini uni nobile e l'altro giornaliero indorato per uso del Santissimo Sacramento, nell'altare, e cappella tutta indorata della Santissima Concezione ne altre spese, che spero fare in detta mia Cappella o Chiesa, perché così e non altrimenti. Anzi raccomando al mio erede, e successori in infinito d'avere sempre speciale affetto, riverenza e devozione al detto convento, e loro Santa Chiesa. Item voglio che la mia dilettissima figlia Nicola maritata col nobilissimo uomo Francesco Filonardi della casa Filonardi, la quale sempre ho amato con amore particolare non solo perché mia figlia, ma ancora per essermi sempre stata obbediente, ed essere sempre fino al giorno presente stata meco, che questa col detto marito mio dilettissimo genero abbia, ed abbiamo sino alla loro morte vitto, e vestito dal mio erede, ed abitazione al mio palazzo nobile in quel appartamento del 1° 2º piano, come loro meglio piacerà, con essere trattati e reputati come padroni senza però che possano vendere, impegnare o in qualunque modo alienare cosa alcuna dei miei stabili, mobili preziosi così perché così è non altrimenti. Idem il molino da grano macinante presentemente a due pietre posto in questo territorio di Ferentino in contrada la mola da piedi ora affittata per rubia cinquanta annue di grano la quale sono oramai due secoli e mezzo sempre posseduta legittimamente dalla mia casa Tibaldeschi con tutti gli suoi usi diritti, ragioni ed oggi dichiarata a me dalla Sagra romana Rota con diverse decisioni e sentenze, e finalmente accordatasi pel pubblico istrumento anche mia nipote signora Anna Gaetana Tibaldeschi, che ora l'unica dopo di me del mio casato Tibaldeschi e che ora pacificamente posseggo perché questa colla tenuta magna al medesimo annessa e confinante di rubia duecento ventiquattro fu da detto Vincenzo mio abavo sottoposta ad una particolare rigorosa primogenitura alla quale vi chiamò li maschi discendenti della sua linea, e poi le femmine in virtù della quale volontà sono in oggi con sentenza della rota come sopra suddetta io colla mia discendenza in infinito; perciò intendo e comando, che tanto detto molino quanto detta tenuta per tutta quella porzione, che ora ne posseggo, e per quella, che tanto io quanto il mio erede, e successore racquisterò o racquisteranno proseguisca sempre ad essere soggetta a tal primogenitura, non ostante, che anche tal primogenitura fosse finita in iure intendo in tal caso al presente rinnovarla, e volendo che principia nel mio erede, e di lui successori in infinito. Alla quale anzi aggiungo un prato in contrada Cadunnazzi, o sia il pratone diviso in due corpi sotto e sopra la strada romana, un alboreto, e vigna in contrada Univi confinante colla strada romana, e beni del venerabile convento di S. Francesco ed il mio dotale appartamento, piano, membro, iussi annessi, connessi, pertinenze, ragioni e voglio che tutto il suddetto cioè molino, tenuta, per quello si possiede e può possedersi da me e dal mio erede, prato, vigna con alboreto e palazzo come sopra sia sempre ed in perpetuo della mia famiglia Tibaldeschi, principiando dal mio erede, e proseguendo in perpetuo intendo d'istituire, come al presente istituisco sopra di tutto ciò una particolare primogenitura non solo sopra li detti miei stabili aggiunti, ma ancora sopra il detto molino, e tenuta come sopra, quando come ho detto di sopra la primogenitura instituita da Vincenzo Tibaldeschi mio abavo fosse terminata e terminasse in me. Item e perché intendo, e voglio che una tale primogenitura istituita come sopra a favore del mio erede, e proseguendo in perpetuo, sia stabile nella mia casa, voglio, che ne il detto erede, ne successori in infinito possano mai vendere, impegnare, o alienare in qualunque modo tutti, o parte di qualunque di detti beni stabili soggetti e soggettati come sopra alla detta primogenitura, ancorché dovesse essere per detrazioni di doti, legittime, e qualsivoglia altro titolo, ancorché concesso dalle leggi, perché così e non altrimenti, come pure, che cagione di qualunque pregiudizio potesse il nostro erede, e Iddio non voglia, non si possa di verum conto come sopra distrarre cosa alcuna de detti beni stabili primo geniali, che anzi a tal effetto intendo adesso per allora dichiarare il primogenito di già privato per due mesi innanzi a qualunque attentato o commesso discaso ne intendo integrarlo se non quando sarà del tutto rimesso, aggiustato, e riposto alla grazia del principe e ciò dico perché intendo che detta primogenitura sia sempre, ed in perpetuo in ogni sua parte nella mia casa Tibaldeschi. Item per dichiarare della mia genuina volontà in ordine alla persona, che intendo che sempre, ed in perpetuo abbia a possedere detta mia primogenitura dico, e voglio che il primo dopo la mia morte sia, l'infrascritto mio erede. Il secondo, che sia il di lui primogenito maschio legittimo, perché non fosse religioso professo, o ecclesiastico, ordinati in sacris non capaci per la successione legittima, e ciò non per avversione che abbia alle Sante Religioni, o stato Ecclesiastico ma solamente per cagione d'avere la perpetuità della mia detta famiglia, e casato Tibaldeschi. In caso dunque, che detto primogenito del mio erede fosse come sopra ecclesiastico secolare, e regolare, o pure che Iddio non voglia, morisse senza lasciare la sua prole maschile legittima, o non volesse o non potesse prendere moglie allora si intenda per primogenito il secondogenito di detto mio erede, e dandosi di questi simili dei suddetti casi allora sia il terzogenito, e così dico per il quarto, quinto etc. senza che mai e poi mai possano succedere le femminea tal primogenitura quando vi sono e saranno li maschi di qualunque colonnato volendo però che sia possibile la conservazione dell'agnazione o cognome Tibaldeschi non assunto ma naturale. Ma se poi, e se mai l'Iddio benedetto non permetta, s'estinguesse affatto la linea maschile d'ogni colonnato del detto mio erede, in tal caso ed allora solamente chiamo la femmina a detta mia primogenitura istituita come sopra, e quella dico e voglio che sia e, debba essere la quale sarà la prossima all'ultimo primogenito maschio, come a favore di me ha appunto dichiarato la Sagra Romana Rota, alla quale femmina subito succeda, ancorché vivente, il suo figlio maschio legittimo e questa subito presa possesso di detta primogenitura debba agnominarsi di casa Tibaldeschi, e riprincipiare la linea e successione nel modo, e manterrà come sopra perché così e non altrimenti, e dandosi il caso, che tal femmina non avesse ne il quell'atto ne in appresso prole mascolina legittima, succeda alla medesima la sua prole legittima femminina e così in appresso finché di tal colonnato vi sia prole legittima maschile da succedere, cognominarsi Tibaldeschi, e riprincipiare la linea e colonnato come sopra e perché può il caso che estinguendosi ogni maschio di qualsivoglia colonnato di detto, e da dirsi mio erede, vi siano più femmine con parità di grado vicino all'ultimo maschio, perciò dichiaro e voglio che mai possa tal primogenitura dividersi, ma che quella femmina succeda la quale sarà nata prima purché non sia monaca professa, o non volesse o non potesse prendere marito, o pure volesse cedere alla secondogenita, dopo però l'età sua dell'anni venticinque, e così dico, e dichiaro per ogni altra seconda, terza, quarta etc, in infinito. Item tutti gl'altri miei beni stabili che al presente possiedo o passa possedere prima della mia morte, e mobili anche preziosi e preziosissimi e semoventi, e crediti di qualsivoglia sorte, e oro argento, gioie, e moneta; e la possessione in contrata la Giovina; e l'altra in contrata Pietro Lamberti; e l'alboreto a bel vedere e la vigna, alboreto, canneto, e oliveto in contrata la Stufa di tutta la loro capacità, e quantità esistenti in questo territorio di Ferentino a me spettanti e che possono in avvenire competermi, tutto lascio al mio infrascritto erede liberi in tal guisa, che possa farsene quello che meglio gli parrà, e piacere, perché così e non altrimenti. Item, e perché la mia casa Tibaldeschi ha sofferti gravi incomodi e sono nati vari sconcerti dall'aver fatto sicurtà ad altri miei antecessori, perciò voglio ed espressamente comando che ne il mio erede ne i successori di detto possano fare ad alcuno chiunque che sia, sicurtà, a fideiussione fuori di mezzo rubbio di grano o della somma di un tal pezzo sotto pena di caducità dell'eredità di detti beni stabili liberi, dei quali gli dichiaro decaduti, e gli stabili suddetti devoluti alla mia primogenitura la quale di sua natura non omette sicurtà, tali e ciò dico perché così e non altrimenti. Item voglio, ed è ragione, che il mio primogenito instituito come sopra sia sempre tenuto al vitto e vestito degl'altri suoi fratelli, quando però questi siano in casa e convivono col medesimo, e che non abbiano moglie; non intendo masi obbligare detto mio primogenito a livelli o altro ma solo al vitto e vestito nel caso, che coabitano, e convivono insieme unitamente e siano non ammogliati, perché così e non altrimenti. L'erede mio poi universale tanto proprietario di tutti li beni quanto usufruttuari della primogenitura istituita come sopra costituisco, e nomino i Sig. Girolamo figlio legittimo dell'Illustrissimo Signor Francesco della Nobilissima, ed antichissima famiglia Filonardi e di donna Nicola mia dilettissima figliuola, consorte del suddetto il quale così nominato eletto, e dichiarato, ed istituisco voglio, che fin d'adesso s'abbia a cognominare Filonardi Tibaldeschi e così proseguire. Quello però che sarà il primogenito dopo di lui voglio che s'abbia a cognominare solamente del cognome Tibaldeschi, e così in perpetuo; e se mai, che il mio Iddio non lo permetta, il detto Illustrissimo signor Girolamo amatissimo mio nipote non avesse mai figli, per qualsivoglia cagione in tal caso siccome non ho altro al mondo che possa come sopra succedere così lascio a lui al medesimo la piena libertà di dichiarare il successore, tanto alla detta primogenitura quanto ad ogni altro de miei effetti, nulla però mutando o variando dei pesi e oneri da me posti come sopra alli promo geniali, e tal libertà do, e concedo anche alla di lui Madre e mia carissima figliuola donna Nicola suddetta per ogni caso di non fatta dichiarazione come sopra da esso signor Girolamo mio Nipote, Erede, e Primogenito Istituito, perché così e non altrimenti. Item dichiaro che detto mio erede e suo successore possa locare a lungo tempo, o vero dare in enfiteusi a terza generazione mascolina solamente, come, ed a chi meglio gli parra, vigne, canneti, arboreti, prati e selve tanto dei beni liberi detti di sopra, quanto dei primogeniali; avendo inteso di sopra e intendo anche al presente proibite la sola alienazione della proprietà di quelli beni detti di sopra; volendo come voglio, intendo e replico, che in perpetuo siano della mia casa Tibaldeschi..
  58. ^ AStF.: Fondo Preunitario, registro degli atti Consigliari del comune di Ferentino anno 1760-1763, p. 45.
  59. ^ Album del Patriziato di Veroli Reg. 59 conservato presso la biblioteca Giovardiana di Veroli..
  60. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Giovanni Squanquarilli, prot. (239) anno 1753-1755, ff. 23- 25.
  61. ^ AStF.: Fondo notarile, not. Giovanni Simone, prot. 740, pp. 212 - 222..
  62. ^ AStF.: Fondo Preunitario, reg. degli atti consigliari del 1786..
  63. ^ AStF.: Fondo notarile not. G. B. Caratelli, prot. (220), atto rogato a Ferentino, il 28 dicembre 1804.
  64. ^ ASFr.: Fondo notarile di Veroli, not. Pietro Paolo Crescenzi, atto rogato in Veroli il 2 agosto 1850.
  65. ^ AStF.: Fondo notarile not. Arcangelo Rossi, atto rogato a Ferentino il 21 giugno 1852..
  66. ^ ASFr.: Tribunale di Frosinone, Sentenze Civili, 1926,reg. 936, busta 848.
  • Vittorio Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana. Vol. VI, Milano, 1932, ISBN non esistente.

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