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Epigrammi latini/Ai cultori delle lettere latine

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Ai cultori delle lettere latine

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Epigrammi latini Didaci Vitriolii Epigrammatum - Liber singularis
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AI CULTORI DELLE LETTERE LATINE



  
Sappiano intanto i dotti e gl’ignoranti....
che il Vitrioli è il Principe, il Re, l’Imperatore
di tutti i latinisti del mondo.
C. BaggioliniVessillo d’Italia,

an. XXIII, num. 28.



Allo Xifia del Vitrioli, pubblicato nel precedente volume, ed accolto con immenso plauso dai dotti1, facciam seguire gli epigrammi latini, tradotti da varî.

Tra i lirici componimenti ultimo forse in ordine è l’epigramma. Non però quanto a facilità; poichè in questa specie di componimenti incontrasi anzi, più che altri non si avvisa, difficoltà, la quale superata, acquista loro il principale e grandissimo pregio, ond’essi vanno distinti, e che solo può rendere

[p. 6 modifica]interessante un epigramma. Suole questo definirsi un poetico componimento, arguto, frizzante, satirico, felicemente espresso con brevità, scioltezza ed evidenza. È necessaria la brevità, non dovendo l’epigramma contenere che un solo pensiero; chè troppo allora temerebbesi dalle muse chi di molti versi componesse l’epigramma, il quale non potrebbe ad un tratto essere raccolto dalla mente, e conservato nella memoria. Non vale lo addurre, che in Marziale e Catullo abbiansi esempi, anche bellissimi di epigrammi diffusi in molti versi: la brevità deve essere relativa, quantunque non possa determinarsi.

Dalla felicità di dar figura al pensiero dipendono la scioltezza e l’evidenza: chè, se tu storpî il pensiero in una forma sproporzionata, non ha più la configurazione propria, e che sola gli conviene. Due maniere le più spiccate di epigrammi si riconoscono comunemente: alla prima appartengono quelli, che si contentano della delicatezza del pensiero, e dell’eleganza della espressione: alla seconda quelli, che al brio, alla vivacità uniscono l’acutezza della mente, e un non so che di frizzante. E forse tutti gli epigrammi greci, e quei di Catullo [p. 7 modifica]possono ascriversi al primo ordine: al secondo quei di Marziale, e la maggior parte dei moderni; dappoichè anco tra costoro non manca chi dilettossi della greca soavità, come i leggiadrissimi Cotta, Amalteo, Castiglione, Stinfalico e Bonifacio.

Di questi due generi son gli epigrammi del Vitrioli, e pare a noi, che il nostro autore abbia felicemente imitati i greci nella disinvoltura, nella grazia e nella delicatezza; come ha forse superati i latini, e certamente i moderni nella brevità, scioltezza ed evidenza. Dico forse, perchè non dee una stupida venerazione per l’antichità farci apparire grande ed inappuntabile tutto ciò che è antico; come non deve l'invidia chiuderci la bocca sulle lodi dei viventi, per aprirla solo a’ sperticati panegirici dei morti. Ma quanto alla grazia ed alla espressione, il Vitrioli può dirsi felicissimo, inarrivabile. Si potrebbe forse asserire, che la bellezza di un epigramma, appartenga a qual serie tu vuoi, non risulti tanto dalla simmetria dei concetti, come altri vorrebbe, e dall’artifizio pure leggiadro di farlo riuscire ad un motto arguto, e non previsto, quanto spicchi maggiormente gradevole e commovente dal felice modo di esprimere il pensiere. Ora quanto valga il nostro autore nella felice manifestazione del pensiero, anche negli epigrammi, la è cosa che colpisce subito la mente del leggitore. Poichè il verso, il giro della frase, l’espressione rispondono sì perfettamente al pensiero, che tu non potresti o mutare, o traslocar parola, senza che il pensiere non perda a un colpo e chiarezza e naturalezza, e leggiadria. Tu vi trovi inoltre quel suo proprio modo di esprimere il pensiero, sgombro d’ogni cosa inutile, condito di tutto il sale, ond’è capace, e con tanto di lume, quanto basta a colpire la perspicacia del lettore, senza tutta scoprirgli l'intenzione del poeta; il che, pare a noi, costituisce la vera forma dell’epigramma. E vedrà ognuno che, quando tali poesie s’aggirano in subjetti gentili, o sono indirizzate a dilicate [p. 8 modifica]donzelle, allora la frase del verso dilicatamente si svolge; come al contrario, toccando cose buffonesche e da riso, il verso incede dimesso, e son quasi volgari le parole. E reca meraviglia, come dalla satira passi poi felicemente a toccare i tasti del dolore; chè non sappiamo se note più affettuose e dolenti possano scriversi, di quelle che leggonsi negli epigrammi 102, 103, ed altri funebri. Ma nei pochi epigrammi di subjetto romano, mostra lo stile un non so che della castrense asprezza dei Quiriti, ed appare conciso, laconico, con grave pensiero nella chiusa (65, 96, 104, 109). In somma troverai dapertutto quelle avvertenze, che il Conte Cibrario chiamava con bella frase magisteri tutti propri del Vitrioli, e che non possono trasferirsi nelle versioni italiane, come fu notato da varî letterati, le cui testimonianze riporteremo nel volume seguente.

Dopo Catullo e Marziale i più belli esempi di latini epigrammi gli abbiamo, come d'ogni altra latina cosa, dai cinquecentisti; quando anco le donne ne scriveano di vaghissimi. Eppure, noi invitiamo chicchesia a paragonare questi del nostro Diego con gli epigrammi del Sannazzaro, e vedere se per armonia Virgiliana, e dilicatezza di pensieri si lascino addietro quelli del vate Partenopeo, e quanto giusta sia stata quella sentenza del Ponziglione (in epist. ad illustr. Viros. Augustae Taurinor. MDCCCLVIII, pag. 38) confrontando il Sannazzaro al Vitrioli: Si inaffectatae, ut par erat, simplicitati studuisset. Quod autem ille nequivit, felici quodam fato, post trium saeculorum spatium tibi populari suo.... consectari contigit. Se non fossero tutti bellissimi, ognuno nel suo genere, basterebbe quello ammirabile sopra Pompei (72) ove sono in brevi motti accennati i vari oggetti scoperti in quella città.

Ne’ secoli posteriori scemarono di pregio gli scrittori latini epigrammatici, tranne pochissimi, come il Grozio ed il Cunich; ma quanto a’ pensieri, i più belli epigrammi di questi due [p. 9 modifica]letterati sono versioni della greca Antologia; finchè siam giunti al secolo presente; in cui, dopo il Vulpes, che stampava a furia elegie ed epigrammi in Napoli, e che chiamerei il Luca fa priesto della poesia latina, tali orrendi epigrammi si pubblicano tuttodì, cara e dolce delizia de’ nostri giornalisti, da vincere l’immaginazione!

Se non che i latini scrittori epigrammatici difettano, chi per un verso, e chi per un altro. Nauseanti per nefande oscenità Catullo e Marziale: tra i moderni piacevole per ingegnosi pensierucci l’Oveno; ma eleganza e leggiadria di stile nol suffraga. Elegantissimo in eccesso l’immenso Pontano: ma si perde in ristucchevoli, perpetue descrizioni di ninfe, rose e giacinti, senza pur un nobile pensiero, senza riguardo a dignità di persone, come nell’epitaffio del vescovo Altilio; difetto avvertito fin da’ tempi suoi. Risibili per giuochetti di parole gli epigrammi del Sarbiew: la loquacità del Bucanano sente dello stile di Claudiano e d’Ausonio. In somma, è ben raro, anzi singolare trovare un libriccino antologico, come questo, il quale riunisca tutti quei pregi, che Tommaso Corea, scrittore del cinquecento nel suo libretto de epigrammate a ragione richiedea in cotali scritture. E quì avvertiremo i lettori, che molti di siffatti epigrammi furono, diremmo, improvvisati dal Vitrioli; poichè richiesto da vari con vivissime istanze a mandare il suo ritratto con qualche motto latino per fregiarne gli Album dei grandi contemporanei, come tra gli altri dalla Pignocchi e dal Dottor Giacinto Menozzi di Bologna, e dal celebre archeologo Conte Conestabile di Perugia, egli così su’ due piedi, in nostra presenza ne dettava dei bellissimi. Intanto noi, sempre conscii della nostra pochezza, ed incapaci di un giudizio inappellabile intorno ad ogni minimo componimento di colui, che il chiarissimo Cristofani chiamava «splendidissima gloria dell’Italia nostra» faremo parlare il dotto Baggiolini.


Note

  1. Ne fan fede le tante lettere gratulatorie, che ci giungono da ogni parte. Intanto, oltre a quelli anunziati nel 1° volume, nuovi scritti prosaici e poetici vennero dettati in lode del nostro Diego. Tali sono i versi latini del Forti, due sonetti del Badodi, editi in Bologna, con una affettuosa Canzone dello stesso sulla ricuperata salute del Vitrioli; un madrigale del Bellucci da Cervia, un’elegia latina del Gualdi da Torino, un’epistola ed elegia latina del Donà in Rovigo, con un greco epigramma di questo passionato amico del nostro autore: altro epigramma latino del Vescovo di Mileto, e le belle terzine del Mongiardini di Bologna; ove il Mignani intitolavagli una monografia.

      Or è nostro intendimento di produrre a quando a quando in questa edizione le testimonianze di celebrati uomini, segnatamente latinisti, intorno agli scritti del Vitrioli, come si usa nelle opere dei classici latini, con i Testimonia ac judicia doctorum virorum, scegliendone pochissime, così a casaccio, senza mutar sillaba, tra le infinite, che si conservano in famiglia, e che è dato ad ognuno di poter verificare cogli occhi propri. E ciò faremo per affinare il giudizio dei giovani studiosi in fatto di latinità, e prevenirli contro quelle, che l’Alfieri chiama chiacchiere gazzettarie; oggi segnatamente, che i magni giornali di Roma e Torino non cessano di travisare la pubblica opinione, lodando a cielo tutte le latine goffaggini, che vedono la luce a’ dì nostri. E sì che per cotali uomini l’essere uno scritto latino scevro affatto di nobili pensieri, ed orrido, inelegante, disarmonico nello stile, è un titolo bastevole, perchè ne infiorino con lunghi estratti le colonne dei lor giornali, e con una certa dilettazione morosa ne discorrano ne’ così detti articoli bibliografici. E poi siamo in tempi, che M. Tullio Cicerone venne bistrattato da un Tedesco, ed esaltata da uno storico Milanese l’eloquenza del barbaro Tertulliano! Miseria umana!!!