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Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo V

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CAPO V.

Arrivo di nuove truppe bizantine. — Stratagemma dì Belisario. Temeraria impresa di Aquilino. — Mirabile ferita di Traiano.

I. In questo mezzo nuove bizantine truppe sopraggiungono da mare, a Napoli afferrandovi tre mila Isauri co’ duci Paolo e Conone, a Idrunte poi ottocento cavalieri traci capitanati da Giovanni, nipote dal lato di sorella del tiranno Vitaliano, ed altri mille sotto gli ordini, per non ridirli tutti, di Marcenzio e di Alessandro. Era similmente di già arrivato, pel Sannio e la via Latina, in Roma Zenone con trecento cavalieri. Giovanni alla perfine messo piede nella Campania con tutta la sua comitiva, si unì ai cinquecento quivi raccolti, e provvedutosi di moltissime carra dalla Calabria, come scrivea, e marciando lungo il mare traevale seco nell’intendimento di valersene, disposte a foggia di vallo, per rispignere il nemico s’e’venisse ad incontrarlo. Così pure comandò a Paolo e Conone di [p. 161 modifica]raggiugnerlo con sollecita navigazione e con tutte le truppe loro in Ostia, forte de’ Romani. Onerate le carra di molto frumento fecene empire anche le navi coll’aggiunta di vino e d’ogni altro bisogno: divisava altresì rinvenire Martino e Traiano presso a Tarracina per quindi continuare unitamente ad essi il cammino, ma avvicinatosi a quella città riseppene la partenza, richiamati poco prima a Roma.

II. Belisario fatto consapevole che le truppe di Giovanni procedevano, temendo non i barbari in moltissimo numero accorsi riuscissero con una battaglia a metterle in pezzi, escogitò un tale stratagemma. Sul principio di questa guerra, in conformità al detto nel precedente libro, avea chiuso con muro di pietre la porta Flaminia, fuor della quale accampava il Gotto, acciocchè da quivi costui non potesse di leggieri introdursi, o tramare insidie alla città. Fatto adunque di notte abbattere col massimo silenzio quel riparo addossato alla porta mettevi in ordinanza il più dell’esercito, ed ai primi albori ordina a Traiano e Diogene una sortita dalla porta Pinciana con mille cavalieri per assalirne gli steccati co’ dardi, ed ove scagliassersi lor contro i barbari, e’ riparerebbero di galoppo, messa in non cale ogni vergogna, alle mura: dispone quindi altra soldatesca entro la porta. I cavalieri adunque di Traiano fannosi, in adempimento dell’ordine avuto, a provocare la nemica fazione, ma questa, accorsa da tutti gli steccati, in poc’ora costrigneli a retrocedere. Quindi assalitori ed assaliti volgon di carriera alla porta della [p. 162 modifica]città; i primi sotto mentita apparenza e presunzione di fuggitivi, i secondi nel convincimento d’incalzare un vinto. Ma Belisario non sì tosto ebbe veduto inoltrare i persecutori apre la porta Flaminia, e dirige lor contro inaspettatamente le truppe. Alla via qui locata sovrastava uno de’ gottici campi, e per giugnervi era uopo superare un’erta di precipitoso e ben malagevole accesso. Di più tale de’ barbari, nerboruto di membra e con lorica indosso, vedendo avvicinarsi i Romani fa loro petto da solo, e chiama ad alta voce i compagni esortandoli ad occupare di subito quella stretta per difenderla seco. Mundila nonostante, uccidendolo, rendene vani i divisamenti, ed impedisce che altri de’ Gotti prenda a resistere da quel luogo. Gli imperiali quindi senza opposizione marciandovi sotto riescono agli steccati vicini, ma tentanne indarno l’assalto a motivo della forte posizion loro, avvegnachè non molto fosse il presidio lasciatovi alla difesa. E per verità oltre all’essere muniti di assai alta fossa, tutta la terra da questa cavata ed ammonticchiata sopra l’interno margine innalzavasi per guisa da fare le veci di muro; nè apportava minore spavento quel mirarli cinti di acutissimi e più che densi pali: da sì terribile propugnacolo adunque guarentite le guardie accanitamente contrastavanne il possesso all’assalitore. Aquilino allora, uno dei pavesai del condottiero ed uomo fortissimo, tenendo in briglia il cavallo spiccovvi un salto nel mezzo, apportandovi qualche morte. Nondimeno circondato poscia da que’ custodi, bersagliato dalle costoro frecce, e cadutogli per le ferite il destriero, ebbe pur l’animo [p. 163 modifica]d’aprirsi una via, e fuor il ogni aspettazione campato di là tutto pedestre tornossene colle sue truppe alla porta Pinciana, ove trovato ancora il nemico alle prese co’ nostri cominciò a farne scempio saettandoli dagli omeri.

III. In questa Traiano, spettatore della faccenda, alla testa de’ cavalieri là pronti, bramoso di farglisi aiutatore spronò alla sua volta. I Gotti pertanto ingannati dallo stratagemma guerresco, ed all’improvvista assaliti da tergo e da fronte venivano ignominiosamente uccisi: così dopo grande strage pochi di loro, abbandonate le mura, di nuovo retrocedettero negli steccati. Ora gli altri tenendo mal sicuri tutti i proprii campi, persuasi di vedersi quando che sia alle prese co’ Romani vi si rinchiusero entro non volendo più sapere di consimili provocamenti. Nel certame poi tale de’ barbari ferì di dardo Traiano al disopra dell’occhio destro presso del naso: ed il ferro internatovisi profondamente non lasciava di sè più traccia al di fuori quantunque fornito di grossa e lunga punta; la sua asta cadde in terra di botto, male aderendovi a mio credere il ferro: con tutto ciò il duce per nulla accortosi del colpo andava col primiero coraggio inseguendo con gravissima strage i nemici. Rispetto poi alla sua ferita, solo dopo il quinto anno e senza veruno aiuto dell’arte salutare comparve nel volto la punta del ferro, e già corre il terzo dalla sua comparsa che a poco a poco va ognor più discoprendosi; giova quindi sperare di vederla, dopo molti anni ancora, sprigionata del tutto, non avendo mai recato il minor incomodo [p. 164 modifica]al paziente. Nè queste cose avvennero altrimenti da quello che io ho esposto.