Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo XXII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXII.
Attristamento di Belisario all’udire la strage de’ Milanesi. Narsete richiamato dall’imperatore. Gli Eruli abbandonata l’Italia stringon lega co’ Gotti. — Indarno Vitige invita i Longobardi a parteggiare seco. Manda ambasciadori a Cosroe esortandolo a rompere gli accordi co’ Romani. — Giustiniano cerca di rappattumarsi col nemico.
I. Sì, come dicea, andarono le bisogne. Belisario all’oscuro tuttavia di quanto era accaduto nella Liguria, terminato il verno divisò marciare coll’intero esercito nell’agro Piceno. Strada facendo giuntagli nuova della milanese carnificina ebbene gravissimo cordoglio, e d’allora in poi non volle più gli comparisse innanzi Uliare; appalesata quindi ogni cosa all’imperatore, questi questi pe’ danni sofferti non pigliò in mala parte alcuno, ma conosciuti discordi tra loro il supremo duce e Narsete, richiamò di botto l’ultimo, destinando l’altro da solo al maneggio di quella guerra. Narsete adunque accompagnato da poca scorta ricalcò la via di Bizanzio, ed alla sua partenza gli Eruli non vollero più rimanere in Italia, avvegnachè fatte loro e dallo stesso Belisario e da Augusto grandi promesse di migliorarne la sorte ov’e’ proseguissero a dimorarvi. Tutti però, affardellato, si diressero in prima nella Liguria, e qui avvenutisi alle truppe d’Uraia venderon loro i prigionieri di guerra, ed il bestiame condotto seco; laonde ricchi di molto danaro giurarono che non armerebbonsi più contro de’ Gotti, nè prenderebbero a guerreggiarli in campo. A tali condizioni stabilita la pace misero piede in quel de’ Veneti, dove abboccatisi con Vitalio mostrarono pentimento del torto fatto a Giustiniano Augusto, e detestatolo risolverono di lasciar ivi uno dei loro capi, di nome Visando, colle sue genti, e di tornare gli altri tutti a Bizanzio capitanati da Atuel1 e Filemut, il quale al morir di Teriteo nella tenda avea ottenuto la capitananza di quelle genti.
II. Vitige ed i Gotti seco, resi avvertiti che sul far di primavera Belisario moverebbe contr’essi alla volta di Ravenna, dannosi colla massima trepidazione a deliberare sulle presenti lor cose. Avutovi in proposito forte dibattimento, conoscendosi da soli minori delle nemiche forze, risolverono domandare aiuti agli altri barbari, ommessi i Germani della cui amicizia aveano di già sfavorevoli pruove: ben contenti se costoro non venissero con Belisario a guerreggiarli, ma si stessero del tutto neutrali. Spedita pertanto un’ambasceria a Vaci re dei Longobardi ed offertogli immenso danaro invitanlo ad entrar in lega seco; ma gli ambasciadori vedutolo con istrettissimi legami di benivolenza e di accordi unito all’impero tornarono indietro pienamente falliti nel divisato intento. Vitige allora mal fermo sui provvedimenti da prendere iva di continuo ragunando i seniori e richiedendoli di consiglio atto a condurre nella più idonea guisa quelle faccende. Se non che tra quanti sedeano a congresso aveavi somma discrepanza nelle opinioni, gli uni perdendosi nel fare al tutto sconvenevoli proposte, e gli altri dando scaltramente in brocco; nel costoro numero fu appunto chi dimostrò non essere mai per l’addietro riuscito all’imperatore romano di guerreggiare i barbari d’Occidente se non se rappattumandosi in prima ed egli ed i monarchi orientali co’ Persiani; e di questa guisa essere avvenuta la rovina dei Vandali e de’ Mauri, ed i Gotti stessi avere incontrato le calamità delle quali erano tuttavia il bersaglio. Se dunque avessevi mezzo di seminare discordie tra Giustiniano Augusto e il re de’ Medi, gli imperiali nimicatisi questi addiverrebbero incapaci di portare le armi contro a qualunque altra nazione. Vitige e tutto il consiglio applaudito a si forte ragionamento divisarono mandare a Cosroe re de’ Medi ambasciadori, non di schiatta gottica, paventando che traditi dalle vestimenta e riconosciuti non isconvolgessero l’intrapresa, ma romani, i quali lavorassero di straforo per allontanarlo da Giustiniano. Tirarono adunque dalla loro a forza di danaro due liguri sacerdoti; l’uno di essi, il più valente per ingegno, sotto mentito abito e nome di vescovo assunse le parti di ambasciadore e l’altro quelle di segretario: così ambedue si partirono con lettera scritta da Vitige al Medo dalla quale persuaso costui arrecò ai Romani, fedeli osservatori dei trattati di pace, tutte quelle sciagure che vennero da me esposte nei precedenti libri2.
III. Giustiniano Augusto allora conosciute le risoluzioni del re stabilì di troncare senza indugio la guerra intrapresa nell’Occidente, e di chiamare Belisario a Bizanzio per dargli la capitananza dell’esercito destinato contro la Persia. Accommiatò eziandio subito gli ambasciadori di Vitige, dimoranti ancora nella capitale, promettendo mandare personaggi in Ravenna per conchiudere seco una pace molto vantaggiosa ad ambe la parti; ma questi ambasciadori non vennero da Belisario spediti a’ Gotti che quando furono da essi licenziati Atanasio e Pietro, i quali restituitisi in Bizanzio ebbero grandissimi premj dall’imperatore, Atanasio riportandone la Prefettura del Pretorio d’Italia, e Pietro la onoranza, come dicono i Romani, di Maestro. Ora la fine del verno diede compimento all’anno quarto di questa guerra, la cui storia ci fu da Procopio tramandata per iscritto.