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le vergini | 29 |
una furia di frugare da per tutto, di mettere da per tutto le mani, traendosi di quà di là con minore lentezza, facendo sforzi inutili e irosi su le serrature di cui Camilla aveva portate seco le chiavi. Una volta, in fondo al repostiglio di un tavolino trovò una mela e ci ficcò i denti golosamente. Da tempo, nel regime severo della convalescenza, ella non assaporava un frutto. In quello era un fresco profumo di rosa, il profumo accolto che certe mele aggrinziti e scolorite hanno. Cercò di nuovo nel repostiglio, sperando; ma non trovò che una specie di siliqua verdognola, chiusa, che doveva contenere forse un gruppo di semi; e la prese, la guardò curiosamente, la nascose sotto il guanciale.
Passava quell’ora, in segreto, con il godimento acre che danno ai fanciulli in guarigione le cose proibite, le infrazioni delli ordini dottorali, i piccoli furti. Solo testimone era un micio, tutto maculato come una pelle di serpente, che girava talvolta intorno a Giuliana con un miagolìo familiare o si fermava teso invano a ghermire se fuori volavano su l’arco i colombi. A poco a poco Giuliana prendeva amore a quel compagno discreto. Ella lo accoglieva nel tepore del letto, gli sussurrava parole senza nesso, lo guardava lungamente leccarsi con la lingua rosea la zampa, porgere la gola di lucertola alla blandizia, una gola gialliccia che pal-